Quando la scuola statale produceva coscienza critica, anche un mediocre studente sapeva che se la cosiddetta “società civile” e i suoi ceti dominanti prevalgono sul sistema politico, nascono classi dirigenti particolarmente deboli e il parlamentarismo entra il crisi. Lo studente, di fatto, sapeva ciò che sedicenti “intellettuali” e opinionisti senza opinione, ignorano oggi bellamente: più si accentua la crisi del parlamentarismo, più una delle costanti della nostra storia, il trasformismo, diventa il dominatore della nostra vita politica.
Basta guardare con un minimo di attenzione l’attuale realtà parlamentare, per rendersi conto che ormai nella Camera dei Deputati si raccoglie una parziale e decisamente fittizia rappresentanza del Paese. Conseguenza diretta di questa crisi delle Istituzioni è l’espulsione dalla direzione politica di cospicue forze attive e vive della società, gruppi e singoli individui pienamente idonei ad aspirare al governo del Paese.
Com’è naturale, questa espulsione riduce gli interessi tutelati in Parlamento, molti dei quali sono interessi privati, la cui somma è decisamente lontana dal formare l’interesse pubblico. Di qui la trasformazione della dialettica parlamentare in un lavoro di camarille, in un costante frazionamento della classe politica, i cui rappresentanti passano indifferentemente da una parte all’altra.
Storicamente, quando questa crisi giunge come oggi al suo culmine, il Paese imbocca due vie. La prima è quella di un parlamentarismo così debole, da impedire la saldatura delle fratture della “società civile” e vivere di un trasformismo che riduce l’attività politica a vuoto verbalismo e produce scelte politiche per lo più antitetiche a quanto occorre a buona parte della popolazione. E’ la soluzione più frequente che si trasforma spesso in impotenza. L’altra, per lo più minacciata e mai condotta alle estreme conseguenze, è la soluzione autoritaria, anch’essa debole di fronte a un apparato dello Stato (burocrazia, esercito, magistratura) che la imbriglia e la tiene a freno. Persino il fascismo, oggi evocato a fini propagandistici, finì col cedere alle contraddizioni della “società civile”.
Nessuna meraviglia, quindi, se nella situazione attuale, un popolo seriamente malato d’ignoranza, combatta accanitamente il fantasma autoritario e si sottometta volontariamente al nostro male politico più antico e pernicioso: il trasformismo. Forte di un’antica tradizione, intanto, chi agita lo spetto del regime, organizza contemporaneamente una squallida operazione di trasformismo e, grazie agli immancabili candidati della “società civile”, mette assieme il diavolo e l’acqua santa.
Uno studente di buona preparazione, sapendo che il cancro della nostra vita politica non è il saltuario momento autoritario, ma il costante gioco del cambiamento, che cambia tutto per non cambiare niente, un tempo avrebbe subito visto dietro Sandro Ruotolo e la “società civile”, quel Migliore passato dal Pci a Rifondazione, poi al PD e infine a Renzi; l’avrebbe visto e se non altro avrebbe ricordato la lezione di De Roberto e Tomasi di Lampedusa. Purtroppo, però, quello studente non c’è più: l’hanno ucciso le riforme scolastiche delle due destre e l’elettore, ridotto al “bestiame votante” acutamente intravisto da Labriola, non ha dubbi, non può averne: deve salvare la “democrazia” e vota convinto per gli assassini dei suoi diritti.