Il 17 agosto scorso, in un articolo dal titolo accattivante – «L’italiano della Potemkin. Francesco Misiano, l’uomo che inventò la Hollywood rossa» Giancarlo Bocchi ripercorre la vita avventurosa e appassionante di Francesco Misiano, rivoluzionario calabrese che – scrive giustamente – «è indissolubilmente legata alla storia del cinema e in particolare all’”età dell’oro” del cinema russo. Capolavori come La Corazzata Potemkin non sarebbero mai arrivati ad un successo internazionale e epocale senza il suo intuito. Inventore della cosiddetta “Hollywood rossa”. Misiano fu in sostanza il più grande produttore cinematografico dell’Unione sovietica. Riuscì a realizzare quattrocento tra film e documentari». Chissà, forse per aggiungere un alone di maggior mistero alla sua bella storia, Bocchi sostiene che nel dopoguerra Misiano fu cancellato dalla memoria collettiva. Ormai, quando si tratta di tirare calci al Pci, nessuno perde l’occasione e la gratuita pesantezza degli attacchi induce a schierasi per il partito che fu di Bordiga e Gramsci anche chi nella sua giovinezza lo ha lungamente combattuto.
Non è vero che Misiano fu cancellato. Giuseppe Berti lo ricordò in occasione della morte in un efficace ritratto del 1937 e nella sua Storia del PCI Paolo Spriano lo ricorda numerosissime volte. Di lui parla a lungo, in termini critici, Michele Fatica in un saggio del 1971 intitolato Le Origini del Fascismo e del Comunismo a Napoli; solo un anno dopo, nel 1972, Franca Pieroni Bortolotti ha firmato il suo Francesco Misiano: vita di un internazionalista. Nel 1997, poi, Giovanni Spagnoletti, in collaborazione con Michaela Bohmig, ha curato il volume Francesco Misiano o l’avventura del cinema privato nel paese dei bolscevichi, un libro che anticipa buona parte delle «rivelazioni» di Bocchi, il quale – come capita sempre più spesso ai giornalisti – non mostra un gran rispetto per il lavoro altrui.
La parte meno nota della vita di Misiano è certamente quella che riguarda la sua fine. L’articolo di Bocchi, del resto, bello sì, ma troppo «sensazionalistico» per tentare la via del rigore, tace su molte pagine significative della vita di Misiano e si guarda bene dal dire che fu iscritto alla Massoneria. In realtà, Misiano fu un noto dirigente della sezione napoletana del Sindacato Ferrovieri prima della “Grande Guerra” e nel dopoguerra divenne segretario della Camera Confederale del Lavoro di Napoli. Nella storia narrata da Bocchi spariscono le relazioni che intrattenne fino all’ultimo con i compagni campani, in primo luogo con Oreste Abbate, ferroviere napoletano, anarchico e poi bolscevico, rivoluzionario, antimilitarista e disertore, come lui, che con Misiano aveva partecipato a Berlino ai moti spartachisti. Condannato a morte dai tedeschi e sfuggito all’esecuzione, anni dopo aveva raggiunto in Russia il compagno, aveva criticato aspramente il regime instaurato da Stalin e dopo la morte dell’amico si era rifugiato in Francia. In ombra resta soprattutto la figura della moglie di Misiano, Maria Conti, e non trova risposta una domanda che non è priva di significato: com’è che dopo la fine del marito e la persecuzione che si sarebbe scatenata contro di lei, la donna non solo rimase a Mosca, ma tra il 1937 nel 1938 si adoperò perché il figlio Walter, «minorato fisico», lasciasse Napoli, dove viveva con lo zio Mario Conti, e la raggiungesse a Mosca? La risposta ci aiuterebbe a capire meglio che accadde davvero a Misiano.
Il viaggio di Walter, di cui il regime fascista era perfettamente a conoscenza, fu organizzato tra la Francia e Napoli da Oreste Abbate, il vecchio compagno che aveva combattuto con Misiano mille battaglie, e dal fratello di Oreste, Armido, anarchico napoletano e perseguitato politico, che conosceva Misiano dai tempi del Sindacato ferrovieri, di cui era stato a Napoli il Segretario provinciale. Non è una domanda banale, così come non è banale ricordare che ben altri silenzi sono a poco a poco caduti sui protagonisti di questa complessa vicenda politica. Del tutto sconosciuto, infatti, è Oreste Abbate, che nel 1948 viveva ancora in Francia e probabilmente non tornò mai più in Italia; ignorato è stato Armido, di cui solo agli inizi di questo secolo una mia breve biografia ha ricordato la figura di antifascista che fu poi combattente delle Quattro Giornate, ma non figura nemmeno nell’elenco dei partigiani riconosciuti. Era stato critico feroce del Patto di Roma, l’accordo tra DC, PCI e PSI, che soffocò nella culla la CGL ricostituita da un altro grande «dimenticato»: Enrico Russo, segretario regionale della Fiom, combattente di Spagna e avversario di Togliatti, di cui contestò le scelte dopo l’armistizio. Se Misiano finì i suoi giorni in un sanatorio. Enrico Russo, letteralmente cancellato dalla storia, morì solo e dimenticato in un ospizio per i poveri. Aveva rifiutato l’incarico di Ministro del Lavoro che gli era stato offerto da Togliatti per addomesticarne l’opposizione.
Bocchi non lo sa, ma il silenzio, quello vero, che pesa e che ha un profondo significato politico, non nasce dai dissensi e dagli scontri dolorosi che caratterizzano la storia della sinistra. Il silenzio più terribile è quello di una storiografia che, pronta a salire sul carro dei nuovi padroni, ha lasciato da tempo la storia del movimento operaio e socialista in mano a giornalisti a caccia di scoop.
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Francesco Misiano: pillole di memoria o memoria in pillole?
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