Il prossimo 25 aprile troverà Renzi sul palcoscenico della storia e gli vedrà recitare il ruolo che più sente suo: per istinto il sindaco fiorentino è un Lucifero, l’apice dell’inferno e un mostro a tre teste che, dopo aver tradito, divora i traditori. Renzi incarna il «male», ma anche la sua condanna; è il rovescio del «bene» e lo specchio della bestia umana.
Pugnalando alla schiena Letta, che aveva definito «il bene del Paese», accecato dall’ambizione, s’è guadagnato un posto di prima fila nell’Antenora e finirà come tutti i traditori della patria. Il 12 aprile Roma glielo ha annunziato: i popoli non perdonano e prima di quanto creda si troverà sepolto dalla cintola in giù, col tronco esposto al gelo dei venti infernali, dove la tormenta è pioggia di sputi ghiacciati. Prima o poi va così per tutte le «anime prave» e c’è un principio di civiltà che afferma il diritto dei governati a scacciare – a schiacciare, se occorre – chi sogna di ridurre un popolo in servitù. Poiché la storia presenta i suoi esempi immortali e non è un cuor di leone, Lucifero, terrorizzato, ha subito chiamato in soccorso il capo dei suoi scherani, quell’Angelino Alfano comprato coi trentatré denari, che al listino dei titoli oggi valgono un ministero che conta e l’esercizio abusivo del potere. Il parricida di Berlusconi non s’è fato pregare, ma non s’è trattato certo di fedeltà. Si dice ed è vero: Iddio li fa e li accoppia. Chi ha tradito tradirà sempre, ma i due sconci compari, che Cassio e Bruto rifiuterebbero come compagni nella Giudecca, condividono la paura: prima del ghiaccio di Cocito, li attende il fuoco della piazza; o insieme faranno fronte, o insieme cadranno.
Come il suo capo luciferino, Angelino Giuda è subito entrato in azione. L’uomo del «lodo», che non esitò a far sospendere i processi a carico delle massime cariche dello Stato, per salvare il suo padrone, ha paura come Renzi. Sa bene che stavolta non basteranno i voti chiesti alla mafia di Racalmuto, sa che non si tratta di far passare nel silenzio di Napolitano e nell’indifferenza delle Camere dei Fasci e delle Corporazioni un lodo che sospenda un processo. Quello fu un gioco da ragazzi. Stavolta c’è poco da manovrare ed è solo questione di tempo: i palazzi del potere, nei quali da servo s’è fatto padrone, non reggeranno all’urto della piazza sconsideratamente sfidata.
Da che mondo è mondo, non s’è trovato manganello in grado di fermare chi lotta per i diritti negati. Anche stavolta non basteranno teppisti coperti dall’anonimato o teste rotte in piazza a ridurre al silenzio chi chiede un tetto, un lavoro e il diritto alla dignità. Non basteranno lacrimogeni a fermare una generazione alla quale si è scippato il futuro e non servirà minacciare o colpire. Giuda nei panni di Alfano racconta dì una inesistente guerriglia urbana, ma si vede che ha paura del terremoto che si annuncia, scatenato dalla violenza del potere che ha voluto incarnare; si vede che trema all’idea che lavoratori, precari, disoccupati e uomini e donne amanti della libertà, gli si rivoltino contro, uniti, per chiedergli conto del disastro che ha provocato. Conosce le domande che vengono dalla piazza, sa che occorrerebbero risposte politiche, ma non è in grado di darle, perché è ostaggio di chi ha armato la sua mano e quella di Renzi in cambio del potere. Pupi tenuti in piedi dalla benevolenza dei padroni, Renzi e Alfano hanno una sola risposta da dare alla sacrosanta protesta di un popolo stanco: la violenza. Una violenza cieca e senza sbocchi. Più teppismo poliziesco, più gas lacrimogeni, più pestaggi, più galera. Sempre di più.
«Gli attacchi di questi giorni alla polizia sono inaccettabili», sostiene Alfano dopo il 12 aprile di Roma, ma sa bene che inaccettabili sono le sue parole. «Noi siamo dalla parte degli uomini e delle donne in divisa che difendono il paese ogni giorno» afferma, ma sa bene che ormai le forze dell’ordine sono impiegate come milizia privata, braccio armato dei padroni. Lo sa e perciò, mentre parla, gli trema la mano. «Chi ha sbagliato pagherà», afferma e più che una promessa, è un’ombra pesantissima che cala sul suo futuro. Pagherà, non c’è dubbio. E non basteranno uomini armati a difendere i traditori e aspiranti tiranni: il gelo di Cocito è sempre più vicino.
La sola via di scampo, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Calderoli sarebbero state le elezioni col sistema proporzionale e senza premio di maggioranza. Chi ha voluto la prova di forza, ora si scopre debole e cerca soluzioni fasciste: basta diritti, basta scioperi, basta proteste in piazza… Ci provi Alfano, se la paura lo rende cieco, provi. E tuttavia ricordi: dopo vent’anni di guerra ai diritti, Mussolini prima di sparire nel Cocito, giunse puntualmente a Piazzale Loreto. Ognuno ha il 25 aprile che merita.
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Angelino, Giuda e il prossimo 25 aprile
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