Un consiglio: cliccate sulla parola Cossiga. Non ve ne pentirete…
Per quello che posso capire e ricordare, la crisi che attraversiamo non ha precedenti nella storia della Repubblica e mi pare che stampa e televisioni, come accade ormai da tempo, indirizzino il fiume delle loro parole verso aspetti marginali o inesistenti della situazione che viviamo. Il primo e più fuorviante argomento cui si fa ricorso per «disinformare», fingendo d’informare, è un tema di impatto immediato: quello della personalizzazione. Per dirla in estrema sintesi, la terribile crisi che attraversiamo sarebbe figlia dell’incompatibilità tra Renzi e Conte. Una sorta di fiction, nella quale i fatti reali sono assorbiti da quelli immaginari e all’origine della crisi di governo non ci sarebbe altro che uno scontro tra due personalità diverse tra loro. Eppure si tratta di personaggi dalla «storia breve», che non sarebbe stato difficile ricostruire.
Si prenda per esempio il lavoro. Con tutti i suoi limiti, Conte ha fatto dell’Italia il Paese che più a lungo di tutti ha bloccato i licenziamenti e – per quanto consentivano le forze in campo e gli equilibri interni alla maggioranza di governo – ha tentato di alleggerire il terribile peso caduto sulle spalle dei più fragili, distribuendo i soldi che avevamo. E’ vero, non ha varato una patrimoniale – non aveva i numeri per farlo – ma, piaccia o no, ha fatto quanto poteva, scontrandosi duramente con la Confindustria, decisa a ignorare la pandemia, a non interrompere la produzione e a scaricare sui più deboli il costo e la complessità della crisi. Ha ereditato da Renzi e compagni lo sfascio della Sanità ed ha tentato di salvare la vita della povera gente, avendo contro i capi delle Regioni, le organizzazioni padronali e la crisi delle Istituzioni.
In perfetta coerenza con la sua breve, ma feroce storia politica, per tutto il tempo che il governo è stato in vita, Renzi ha fatto sentire al suo interno le istanze della Confindustria e grazie al silenzio complice dell’informazione, nessuno ha ricordato i «successi» del suo governo, dall’abolizione dell’articolo 18 al Jobs Act, alla conseguente istituzionalizzazione della precarietà e del caporalato, alla Buona scuola, alla battaglia condotta contro il reddito di cittadinanza e all’abolizione dell’IMU sulla prima casa. Quanto alla politica economica, Renzi voleva il Mes, Conti l’ha rifiutato. A livello internazionale, però, Renzi era solo – il Mes non l’ha voluto nessun Paese a cui è stato offerto – e mentre Conti otteneva dall’Europa una quantità di miliardi che a Renzi nessuno avrebbe dato, il pupo fiornetino era impegnato a criticare ogni iniziativa di sostegno sociale adottata dal governo Conte, lavorava per distruggere e confidava ai sauditi la sua invidia per la possibilità degli sceicchi di pagare salari da fame ai lavoratori.
«Differenza di carattere»? No, posizioni antitetiche tra due progetti politici, due modi di affrontare la pandemia e due posizioni in aperto contrasto sulla gestione delle risorse provenienti dall’Europa. Renzi disprezza i lavoratori e i loro diritti, è decisamente subalterno al Capitale internazionale e locale. Il suo programma è quello della Confindustria, notoriamente nemica di Conti.
Come ha scritto recentemente Bevilacqua, Renzi è «uno dei più temibili uomini di destra mai apparsi sulla scena italiana […]. E’ tra i più diabolici per la sua straordinaria capacità di travestimento, in grado di ingannare anche i suoi sodali, di muoversi alla spalle del proprio schieramento, di tramortire l’opinione pubblica con accorate finzioni, di fare patti sotterranei col nemico».
Quando si è giunti alla resa dei conti, Renzi ha esaurito il suo compito, svolto molto probabilmente in accordo con Mattarella. Indebolito Conte, screditato un Parlamento già di per sé scadente, si è fatto da parte, pronto a sostenere l’uomo che da tempo aspettava nell’ombra. Cade un governo che Renzi ha costretto a dimettersi, benché abbia ricevuto la fiducia delle Camere. Non si vota – la pandemia e l’infamia dei vaccini brevettati non lo consentono – e dal cilindro di Mattarella appare il nuovo salvatore della patria, Draghi, l’uomo dei derivati, delle banche e dei poteri forti, sul quale pesa l’antico, terribile e sempre valido giudizio di Cossiga, che lo definì un vile affarista. Il tecnico che aprì la via al massacro greco. Per imporlo al Paese, al termine di una sorta di golpe, non sono stati necessari i carri armati. E’ bastato un senatore che voleva abolire il Senato e s’è messo alla testa di un manipolo di scissionisti.
Mentre contiamo e conteremo morti a migliaia, Piazza Affari vola e Confindustria festeggia. Il salvatore delle banche sarà per la povera gente più pericoloso del Covid.

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