Ho scoperto per caso che, intrappolato nella giungla delle leggi elettorali, alle recenti comunali di Aosta, Potere al Popolo!, pur avendo raggiunto il fatidico traguardo del 3%, non solo non è entrato nel Consiglio Comunale, ma si trova ora di fronte a un complicato dilemma:
1. Decidere che, essendo comunque lontani da quelle che sono di fatto due destre, la battaglia dei ballottaggi non ci riguarda;
2. Dare indicazioni di voto, perché tra i due candidati uno è più o meno apertamente fascista, ed è appoggiato da tutte le destre, compresa Casa Pound, l’altro è espressione di una coalizione in cui non c’è solo il famigerato PD, che si finge antifascista e però sta sulle posizioni fasciste di Minniti, ma anche liste civiche e associazioni di autentici antifascisti.
3. Seguire la via dell’astuzia, in grado di toglierci apparentemente le castagne dal fuoco: starsene zitti in pubblico, esprimere un voto antifascista nel segreto delle urne e poi, se interrogati, negarlo.
Prima di esaminare il valore delle scelte possibili, mi sono chiesto com’è accaduto che ad Aosta, città medaglia d’oro della Resistenza, sia giunto quel 3%, un risultato che non era facile ottenere. Non conosco la realtà locale, ma non credo di sbagliare se dico che i compagni di Aosta hanno saputo parlare a chi non è schierato su posizioni molto radicali, ma è contemporaneamente stanco della vergogna che da troppo tempo caratterizza ovunque la nostra realtà politica. Quel 3%, quindi, raccolto in una città medaglia d’oro della Resistenza, appartiene tutto a Pap, ma non è esclusivamente il voto della “nostra gente”. Averlo ottenuto significa aver mostrato una via possibile, che promette un vantaggio – una speranza concreta di andare oltre la “testimonianza” – ma ti crea un problema di flessibilità.
E’ solo avendo presente questa duplice condizione, che si può provare a scegliere tra il primo e il secondo corno del dilemma, avendo chiare le conseguenze. Se dici a chi si è avvicinato a Pap che il ballottaggio non ti riguarda e pazienza se vince il fascista, perdi per strada gran parte di chi non proviene da Potere al Popolo!, ma l’ha votato. Sei indiscutibilmente coerente, ma sei anche rigido sino al punto da rischiare di cancellare la crescita e arroccarti nella difesa di una identità. Se invece dai indicazioni di voto, scalfisci la coerenza, ma difendi il dialogo che hai allargato e i rapporti che hai costruito. Se, infine, fai il gioco delle tre carte, rischi una pericolosa figuraccia. Ed è un rischio probabile e dalle conseguenze penose.
A me pare che il problema più urgente non sia quello di sapere qual è la posizione giusta. Trovo piuttosto necessario chiarire che le tre opzioni rappresentano in fondo concezioni della politica diverse tra loro, che non riguardano semplicemente l’assemblea territoriale di Aosta e gli organismi dirigenti del movimento, ma l’intero corpo di Potere al Popolo! e – in senso più lato – tutta la gente di sinistra. Questo perché dietro quelle che potrebbero sembrare questioni interne a una delle sue componenti – in questo caso Potere al Popolo! – emergono nodi da sciogliere e discussioni da fare alla luce del sole riguardo alla cosiddetta “unità”.
Il fascismo storico passò anche perché la percezione del pericolo giunse tardi, dopo una serie di divisioni che indebolirono irrimediabilmente la sinistra, quando la crisi del dopoguerra diventò devastante e il capitalismo divenne così forte da imporre le sue leggi a ciò che restava di una sinistra ormai residuale nella coscienza del Paese. Sì capì tardi che la sconfitta non era stata solo politica, ma anche e soprattutto culturale. Fatte le debite differenze, gli anni Venti di questo secolo ci pongono di fronte a una situazione che, al di là della forma, nella sostanza non è molto diversa da quella che vide cadere invano Matteotti. Un socialdemocratico. Una situazione tale che nessuna forza politica avrebbe potuto fermare da sola la catastrofe, che, come sappiamo, giunse puntuale.
Al di là delle apparenze, anche oggi la catastrofe che temiamo è in parte già giunta e mi fa ricordare le parole di un partigiano di Giustizia e Libertà, Gaetano Arfè, uno dei politici più intellettualmente onesto che io abbia mai conosciuto, il quale, prima di andarsene, più volte ebbe a scrivere, come in un testamento morale, parole che val la pena di ricordare: è in corso una terribile battaglia e noi non ce ne siamo nemmeno accorti.
Torno al tema dell’unità, ricordando che, se è stato un errore gravissimo lasciar morire i “Comitati del No”, dopo la fine ingloriosa della Riforma Boschi, sarebbe ancora più grave non tenere in vita oggi quei comitati che allo sfascio della Costituzione hanno opposto comunque un 30% di no. Suppongo che ci sia ancora tempo e modo per ragionare di una confederazione di forze, che, pur conservando la più totale autonomia, si raccolgano attorno al Comitato sulla base di punti che non ci possono vedere divisi: la difesa della rappresentanza – quindi la pretesa di una legge elettorale proporzionale e senza sbarramento (che potrebbe aprire contraddizioni profonde nell’apparente unanimismo del PD, soprattutto della sua base) -, la questione dell’ambiente, per il quale si fa ormai il conto del tempo che manca alla distruzione della vita umana sul pianeta, il ritorno alla Sanità pubblica, semidistrutta dalla religione neoliberista, la centralità di un sistema formativo statale, gratuito e sottratto al suo stato di coma, il ritorno alla Costituzione del 1948 e quindi l’abolizione dei vergognosi sì ai diktat della finanza (pareggio di bilancio e fiscal compact, per fare qualche esempio); l’abolizione delle leggi contro i lavoratori. E mi fermo qui, sapendo di aver omesso chissà quanti altri punti unificanti.
Può darsi che sbagli, ma mi chiedo se una confederazione siffatta, con un riferimento comune costituito dai Comitati del No, con una base forte di quel 30 % di elettori che si sono raccolti e uniti attorno a questi temi, sia oppure no il terreno di una possibile unità, che raccolga un ampio fronte anticapitalista e diventi un formidabile strumento di lotta nelle piazze e in tempi brevi anche nelle Istituzioni. E’ una domanda che merita una riflessione e una risposta molto ponderata.
Fuoriregistro, 29 settembre 2020

Un tal fiume di parole per decidere se ad Aosta votare antifascista o non votare? E poi approdare all’invito di considerare il 30% che ha votato No al referendum come comitato politico per le prossime battaglie politiche rivoluzionarie? E guidato da chi: da Molinari direttore de La Repubblica?
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Marchesini, ti pubblico il commento, ma non lo commento: si commenta da solo come tutti commenti di chi commenta tutto, tranne il testo che pensa di commentare. Non ricommentare, finirai nello spam assieme al ricommento.
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