Umberto Oreste, compagno serio, sperimentato e preparato, pone l’accento su una questione antica e di primaria importanza:
«Sanificare regione e comune è questione di igiene istituzionale: virus batteri e parassiti si annidano tra consigli di amministrazione, cooperative gestite da parenti, incarichi e commissioni, appalti e subappalti. Il capitalismo ha trovato nel pubblico una miniera di facile profitto. Non serve tentare di entrare nella stanza dei bottoni se non si ha coscienza di ciò».
Leggendolo, mi sono ricordato di quanto, a proposito della «stanza dei bottoni», mi raccontò tanti anni fa Gaetano Arfè, partigiano nelle formazioni di «Giustizia e Libertà», grande storico del socialismo, amico assai caro e – ciò che più conta – protagonista della nostra vita politica del Novecento tra i più intellettualmente onesti.
Nel racconto di Arfè, di cui non ho motivo di dubitare, nel 1963, quando nacque il primo e più autentico centrosinistra, Pietro Nenni, diventato vicepresidente del Consiglio dei Ministri, era convinto che finalmente un uomo di sinistra stesse per entrare nella «stanza dei bottoni», della cui esistenza materiale era sinceramente convinto. Umberto Oreste non è così ingenuo e il problema che pone, pur rimandandoci a un’immagine molto simbolica del potere, ci riconduce a una questione antica, seria, concreta e mai davvero risolta: quando militanti alternativi si propongono di entrare nella «stanza dei bottoni», si trovano immediatamente di fronte a questioni che non riguardano solo dottrine, ideali politici ed esperienza storica di militanza. Il nodo vero della questione riguarda soprattutto la persona umana.
Mi sono venuti in mente così non tanto e non solo coloro che, entrati nelle Istituzioni, si sono lasciati assorbire fino a confondersi coi parassiti che dicevano di voler combattere. Ho pensato piuttosto agli operai diventati «élite», quelli che, ottenute vittorie con l’aiuto di tanti compagni, si sono poi attestati a difesa dei vantaggi conquistati, dimenticando il senso e il valore della solidarietà. Noi tutti, bravi e bravissimi compagni, mi son detto, dovremmo ricordare sempre che ogni idea collettiva marcia inevitabilmente sulle gambe di singoli individui collegati tra loro. I nostri strumenti teorici hanno perciò da fare i conti con la natura umana, che non sempre è nobile come pare.
È tenendo presente tutto questo e lavorando molto sulla formazione, che occorre ingaggiare la battaglia. Riguardi una municipalità o un movimento rivoluzionario, la natura umana di quanti si accingono alla lotta conta molto e spesso è decisiva, sicché, entrando nei «palazzi», ognuno di noi dovrebbe essere entrato nella «stanza dei bottoni» che si porta dentro. Dovrebbe esserci entrato e averla conquistata per governare di là i meccanismi che insidiano la nostra coerenza e fanno guerra ai nostri intenti migliori.
Il fatto è che non esiste impresa più difficile di questa, perciò, mentre ognuno di noi ci prova e fa guerra con se stesso, tutti assieme, con l’ottimismo della ragione, dobbiamo tentare di forzare la misteriosa porta della «stanza dei bottoni», sapendo che essa non esiste materialmente, ma augurandoci di coglierne i meccanismi ed essere in grado di sanificarli senza esporci al fatale rischio del contagio.
Egregio professore, io non so se il mio pensiero collimi col suo scritto e quindi col suo pensiero. Le assicuro che ho una profonda stima per la politica della quale riconosco la infinita necessità, ma non posso nascondere come io da molto tempo ormai debba fare i conti con quella bestia che è l’uomo che a me pare sempre più lo sfregio della evoluzione.
Mi sovviene un articolo in cui si faceva presente come a poca distanza di pochi anni dalla rivoluzione, in URSS il partito bolscevico, allora ancora guidato da Lenin, si sia dovuto dar da fare per eliminare tra gli iscritti buona parte di loro perché, cito a memoria ma le proporzioni sono giuste, da 100.000 che erano diventarono quanti un milione dopo che molti si erano convinti, opportunisticamente, che era il caso di appoggiare il nuovo regime: ma con quali conseguenze nel partito può lei ben immaginare.
Non posso non avere fiducia nelle capacità razionali dell’uomo…se non ne avessi, mi cadrebbe tutto…ma quanto mi costa a vedere la realtà, l’arido vero.
Caro Padovan, purtroppo collima…