
Nelle brevi e sconfortanti occasioni in cui esco di casa, quando ascolto la televisione che mi parla di politica e pandemia, ho chiara le percezione del disastro. Il coronavirus è la meno grave delle ferite che mi procura la condizione in cui siamo ridotti. I colpi più profondi vengono dalla miseria morale e dall’indigenza culturale di chi ha in mano le sorti dell’umanità. Nel disastro che mi circonda vedo un segnale positivo nel fatto che un parassita fascista tiri fuori l’idea di un 25 aprile in cui ricordare i suoi camerati di Salò. Il potere ha perso il contatto con la realtà.
La mia generazione voleva che non si arrivasse dove siamo finiti. La fermarono con attentati feroci, ma esistevano margini di miglioramento, non c’era questa terribile disperazione e la lotta armata non li travolse. Stavolta le spalle sono prossime al muro. Non mi piace quello che sto per dire, ma storicamente esistono esempi chiarissimi: quando si sono create condizioni così intollerabili moralmente materialmente, il potere ha scoperto che la rivoluzione non è una parola scritta sui libri. La Bastiglia non fu assalita per improvvisa pazzia e il Palazzo d’inverno non fu preso per ripararsi dal freddo. Credo che nessuno dei sedicenti “grandi” sia in grado di capirlo e questo è per me un motivo di grande conforto.
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