
La mattina, mentre continuano gli arresti domiciliari e ti va anche bene, perché attorno a te si soffre e si muore, dialogare tra noi, compagne e compagni, non serve solo a far passare il tempo. Ci aiuta a conoscerci, a riflettere assieme e a ricavare un piccolo guadagno anche da un’esperienza tragica e feroce.
Prendi, per esempio, quanto scrive una compagna con un filo di amarezza:
– Ho la sensazione che a seguito di giudizi dati senza avere chiaro le dinamiche di cosa sia successo, alcune pagine non pubblicano più i miei post o alcune persone che prima mettevano i like apprezzando il mio impegno, sono sparite.
Che non si tratti della lamentela sterile di chi si piange addosso, diventa chiaro appena provo a capire:
Mi piace pensare – prosegue infatti la compagna – che siano troppo occupate a lottare per il bene di tutti e tutte, come io sono impegnata costantemente nel tutelare il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici in questo momento di grande emergenza. Ho fatto un errore? Può essere. Ma voi per un errore mi state a lapidare? Fate come volete, ma io non mi tiro indietro; sono aperta al confronto e state pur certi: quando possibile, ci sarà.
Brava compagna, mi sono detto leggendo. In fondo non capire o, perché no?, non condividere qualcosa di ciò che scrivono compagne e compagni è possibile e direi che ci fa anche bene. Il mondo sarebbe un manicomio se pensassimo tutti sempre alla stessa maniera. Uno dissente, te lo dice, ci si spiega… È così che dovrebbe andare, no? Se invece si giunge al punto di mettere al bando, beh, qualcosa non va, o meglio, per essere chiari, c’è qualcuno che ha sbagliato collocazione. E qui mi accorgo che una cosa da dire ce l’ho anch’io.
Cosa?
Voglio dire che non c’è nulla di più stupido dei portatori di verità.
La vuoi chiudere qui?
No, non basta. Se dialogo dev’essere in una mattina di arresti domiciliari, andiamo avanti e diciamocela tutta. Non te la prendere, compagna. Non sono cristiano ma ricordo parole antiche e chiarificatrici: chi non ha sbagliato scagli la prima pietra. Quante volte l’abbiamo sentito dire! E’ solo buon senso comune, d’accordo. Sarà un caso, però, ma chi tira sassi per lapidare e punta il dito sull’eresia, in genere non ha capito niente.
Se ci penso bene, noi ci siamo riuniti in un movimento anzitutto perché non siamo individualisti e vogliamo capire assieme. In fondo non abbiamo nulla da insegnare e molto da imparare.
E qui mentre la giornata prende la sua via, due parole le dico a me stesso. Questa maledetta tragedia che ci ha colpiti dalla sera alla mattina, ogni giorno ti impone soliloqui e una cosa ti diventa chiara: quando arrivi alla fine del percorso, e io ci sono ormai vicino, ti accorgi che la vita è spesso una tempesta. L’hai imparato con gli anni: la sola bussola che ti può condurre al riparo in un porto ha il dubbio come stella polare. Chi vive di certezze è destinato a naufragare.

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Ottimo. L’unica cosa che non condivido è la penultima affermazione. Ci saranno tante altre occasioni di confronto, scontri, dubbi da dissipare. Non siamo vicini alla fine del percorso. Auguri.
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CERTEZZE…della RELATIVITA’
“Ma io sono costante come la stella del settentrione che per la sua fissità ed immobilità non ha compagna nel firmamento.”
Sono le parole che Shakespeare fa pronunciare a Giulio Cesare nel terzo atto dell’omonima tragedia: la Stella Polare vi è presa a simbolo dell’incrollabile fermezza.
Eppur si muove…
Insomma, tutto nel cielo è continuamente in moto. Ogni presunzione d’immobilità, anche la più salda e tradizionale, è in fondo un’approssimazione. La Stella Polare non è perfettamente immobile neppure ora che occupa indiscutibilmente il posto d’onore a ridosso del polo nord celeste.
Se Shakespeare avesse potuto osservare un filmato,in lasso di tempo questo fenomeno, sarebbe stato costretto a riscrivere la battuta messa in bocca a Giulio Cesare…

http://www.liminateatri.it/?p=1301
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