Scopro per caso, che al Museo Nazionale ferroviario di Pietrarsa ci si può anche sposare.
Non sono uomo di fede, ma trovo la cosa inaccettabile e in certa misura sacrilega. Lì, a Pietrarsa, c’è stata una terribile strage operaia. Probabilmente la prima dell’Italia unita. Mentre lo Stato unitario investiva tutto quanto poteva nelle aree del Nord destinate a diventare il “triangolo industriale”, l’opificio borbonico, svenduto a un privato nel quadro di una sistematica deindustrializzazione del Sud, era andato incontro alla crisi.
Com’era prevedibile, crollata la produzione, era iniziato un continuo, progressivo taglio del personale e dei salari. Per prendere tempo e preparasi a stroncare le agitazioni, il padrone, Iacopo Bozza, aveva utilizzato l’inganno, promettendo il reintegro dei licenziati. In mente, però aveva ben altro e presto erano ricominciati licenziamenti e agitazioni.
Il 6 agosto 1863 l’intervento di un reparto di bersaglieri, comandati dal cap. Martinelli, chiuse la vertenza a fucilate e colpi di baionetta. I lavoratori, che protestavano inermi contro i licenziamenti, furono attaccati con estrema ferocia, come fossero soldati nemici. Alla fine delle cariche il bilancio fu di quattro morti e numerosi feriti e nessuno rispose poi dell’eccidio.
Per me sposare a Pietrarsa è un po’ come celebrare le nozze al Cimitero di Poggioreale.
Auguri agli sposi, figli di una società di “senzastoria”.
Pietrarsa: nozze di senzastoria
23/12/2018 di giuseppearagno
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