«Molti nemici, molto onore» ha dichiarato non a caso Salvini, ma pare che nemmeno questo sia bastato purtroppo a far suonare con forza un campanello di allarme. E’ accaduto mille volte: la percezione di una tragedia storica è infinitamente più lenta della rapidità con cui essa si abbatte su un popolo inconsapevole e complice e lo travolge senza possibilità di scampo.
Fa male scriverlo, ma si direbbe che le cose stiano così anche stavolta, in questo terribile 2018 che, a partire dall’insediamento del «governo del cambiamento», ci ha portato un episodio di violenza razziale ogni due giorni e la resurrezione del fascismo, adattato ai nostri tempi e però saldamente ancorato a quello storico. E’ per questo forse, per una consapevolezza che dovrebbe esserci ma non c’è, che anche in un anno come questo le «celebrazioni» dell’anniversario delle Quattro Giornate sembrano collocarsi nel solco di una tradizione di ricostruzioni parziali e mezze verità, che non ha mai reso un buon servizio alla causa della democrazia.
E’ sconcertante che una corona di fiori sulla lapide della basilica di Santa Chiara distrutta il 4 agosto 1943 da un bombardamento degli Alleati apra quest’anno le manifestazioni per ricordare le Quattro Giornate di Napoli. Spero sia solo una falsa partenza, ma mi domando perché almeno stavolta non si colga l’occasione per aprire un dibattito serio e approfondito sulle terribili responsabilità italiane. Una discussione in cui si dica infine ciò che di solito si tace – la guerra è una barbarie che l’Italia aveva voluto e fu combattuta al fianco dei nazisti – e si denunci la vergognosa medaglia posta recentemente sul «valoroso petto» di un nostro centenario pilota, uno di quelli che per primi sperimentarono l’uso terroristico dell’arma aerea a spese della Spagna repubblicana, aggredita senza dichiarazione di guerra.
Quanti sanno, che nostri purtroppo, anche nostri e non solo nazisti, furono gli aerei, le bombe e i piloti che rasero al suolo Guernica e colpirono Barcellona, bombardando a tappeto persino la preziosa «Escola do mar»?
Mi chiedo perché – e lo dico con il rispetto dovuto a Salvo D’Aquisto – non si colga l’occasione per ricordare il ruolo dell’Arma dei carabinieri, soprattutto dei suoi ufficiali, che, a parte qualche nobile eccezione, prima fuggirono, lasciando ai civili il compito di combattere contro nazisti e fascisti, poi, tornati impuniti ai loro posti nella città liberata, si diedero da fare per proteggere i gerarchi fascisti, dare la caccia ai partigiani che non consegnarono le armi e ammanettare gente come Eduardo Pansini, perseguitato politico e comandante partigiano napoletano. Quei carabinieri – perché non dirlo? – di cui l’azionista Guido Dorso chiese lo scioglimento e per questo fu schedato tra i sovversivi.
Per ricordare le Quattro Giornate in quest’anno tragico sarebbe necessario uscire dal solito terreno celebrativo e legare il passato al presente con un gesto di coraggio e di verità. Bisognerebbe farlo, perché questo non è un anno come gli altri e mai come stavolta la storia, «maestra di vita», non può essere ridotta a luogo comune.
Quello in cui viviamo non è l’Italia che sognarono e per la quale diedero la vita i nostri partigiani. Se è andata così e ci troviamo a fare i conti con Salvini è anche perché per anni si è taciuto sui notri crimini e si è insistito sulla ferocia nazista e sulle bombe degli altri.
Alla città che fino a qualche tempo fa si dichiarava «ribelle», ma è andata poi a votare in massa per gli alleati di Salvini, più che gli errori degli altri, occorre ricordare i nostri, spiegare che nel 1943 si è combattuto anzitutto contro le nostre bombe e la nostra ferocia, per un’Europa diversa da quella che è poi nata e ci opprime. Si è combattuto – ma nessuno lo dice – contro quelle bombe e quella ferocia che, tornate di nuovo sulla scena in aperto contrasto con la Costituzione, hanno trasformato la Libia in un tragico lager.
Di ciò non si parla purtroppo e questo silenzio è il miglior alleato del neofascismo.
Quando la memoria storica soffre d’ignoranza politica
02/08/2018 di giuseppearagno
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