Si trattava di salute. “Non idoneo all’insegnamento”, raccontava con burocratica pignoleria il fascicolo personale, tralasciando i particolari. Nessuna traccia degli scontri durissimi e dei verbali del Collegio Docenti puntualmente conclusi con la postilla minacciosa: “il professore chiede sia messo a verbale che la decisione è contraria alla legge vigente”. Non un accenno al registro delle presenze sequestrato per ritorsione negli uffici di presidenza e ai docenti, passati coraggiosamente nel campo del dirigente perché “non si può vivere a scuola come in trincea”.
Ufficialmente “malato”, l’uomo viveva come un albero sradicato. Docente, sì, ma “addetto ad altre mansioni”, se un collega mancava, la salute tornava e lui rimetteva piede in un’aula, come si torna agli anni felici in un momento amaro. Di fatto, rubava ore di insegnamento. Per tre anni aveva vissuto così, come un esiliato politico durante una dittatura. Ci credono in pochi ma, se fa il suo mestiere, un sindacalista rischia la rappresaglia. Peggio per lui, se è un dirigente “dissidente”: il sindacato lo abbandona al suo destino.
Ogni ora rubata era una riscoperta: il docente era lì, confinato in un ufficio di segreteria, ormai incapace di gestire i rapporti con colleghi rassegnati e capi d’Istituto ridotti a kapò. Per non rubare lo stipendio assieme alle ore di insegnamento, si era ritagliato uno spazio e inventato un lavoro, osservando un tecnico che si occupava dei computer riparandone uno e rompendone due. Il laboratorio con il suo malandato “parco macchine”era diventato il suo piccolo regno; teneva corsi di alfabetizzazione informatica, aggiornava programmi, si occupava di piattaforme digitali ministeriali e riparava i computer. Un gran risparmio per una scuola che viveva ormai di un’autonomia pezzente. Gli mancavano gli alunni, però, e se ne accorgeva a ogni furto, quando li ritrovava e le ore volavano, quando qualche ragazzo, stupito, gli diceva che era un bravissimo bidello e un altro gli dava sulla voce: “ma che dici? È un supplente!”. Se ne accorgeva quando li incontrava nei corridoi, lo salutavano e c’era chi gli chiedeva di tornare. Se ne accorse soprattutto quando un “collega” si ribellò: non volle che andasse più nella sua classe – i ragazzi, tu li scateni, sibilò – e chiese che fosse escluso dal Collegio dei Docenti: che c’entrava, lui, con i docenti?
Per tre anni, rubò ore di insegnamento e andò a cercarsi studenti come si cerca l’aria quando manca. Mille volte si chiese perché aveva difeso colleghi che spesso ti lasciano solo se c’è un prezzo da pagare, perché aveva scelto di spezzarsi, piuttosto che piegarsi. Una risposta non l’aveva trovata, ma sentì che se fosse tornato indietro avrebbe fatto allo stesso modo.
Tornò a insegnare quando capì che ne aveva abbastanza: via dalla scuola per sempre, si disse, ma via da insegnante. Trovò tutto com’era. I colleghi, che non l’avevano mai cercato, lo accolsero festanti e qualcuno spiegò: “Non immagini come ci trattano. Qui ci vuole uno come te!”. Fu un anno stupendo. ma aveva deciso: niente conti. Consegnò la domanda di pensione e si sentì libero come l’aria. I ragazzi, scatenatissimi, furono la medicina per mille ferite. “Gentaglia”, gli avevano detto – “scarti e delinquenti”. Fecero miracoli e il giorno che confessò li vide piangere. Provarono fino all’ultimo a trattenerlo, poi si arresero.
Il massacro della scuola è stato soprattutto il massacro di intere generazioni di giovani.
Il massacro della scuola
09/03/2017 di giuseppearagno
Grazie infinite di cuore, Giuseppe Aragno per questo articolo. Mi hai aiutato tantissimo a non sentirmi solo con i tuoi scritti su “Fuoriregistro” quando ero ancora in servizio e lo stai facendo ancora oggi che, sia tu che io siamo fuori dalla “scuola-carcere-prigione-marcia” costruita dal ministero e dai vertici sindacali confederali. Mi conforta assai il pensiero che noi vecchi “Partigiani” della vera scuola, quella fatta di sentimenti, intelligenza, fantasia, creatività, impegno e passione, pur pieni di “cicatrici” per le antiche e gravi sofferenze patite abbiamo ancora la forza di gridare ai giovani e meno giovani che solo con una forte presa di coscienza si può uscire dalla palude della “buona-scuola” di renzi, giannini e fedeli per ri-costruire insieme una Scuola ed una Società più giuste.
Caro Vincenzo, quando ci penso, mi sembra sia passato un secolo. Temo di aver perso tutte le battaglie nella mia vita, ma non mi ritengo sconfitto e non ho alzato bandiera bianca. Attorno alla scuola tra il 2008 e il 2010 si è combattuta l’ultima grande battaglia frontale per la democrazia e non è accaduto per caso. La formazione e la ricerca sono il più avanzato posto di guardia sul confine tra civiltà e barbarie. O fermiamo la crisi nelle aule delle scuole e delle università o ci attende uno dei più gelidi inverni della storia. Fuoriregistro, che tu ricordi nel tuo commento, è stata una delle più significative esperienze della mia vita. Purtroppo non ha retto, probabilmente non poteva reggere, all’attacco micidiale che è partito dai “grandi sindacati” e dal PD. Un abbraccio affettuoso.
Fa rabbia che possa accadere tutto questo, e ancor più che oggi pare sia addirittura considerato normale, fisiologico. Che un lavoratore, un docente con buona pace di una libertà tutelata dalla Costituzione ma di cui sembra non ricordarsi più nessuno se non come una cosa da “idealisti” e “filosofi”, sia marginalizzato ed estromesso dalla propria stessa vita, perché tale è la scuola per chi questo mestiere l’ha scelto dedicandovi anni di studio e di esperienza. Con la sciagurata legge 107 – sì, legge, di quelle che della legalità fanno un’infamia – il “demansionamento” non necessita neppure di giustificazioni pseudo-cliniche, è sufficiente l’arbitrio di un “dirigente scolastico”, o di qualcuna delle figure di cui può circondarsi a proprio supporto, che sotto il nome di coordinatori, referenti vari e simili assumono la faccia nota del kapo’. Fa rabbia, soprattutto perché se ciò è potuto accadere e continua ad accade è per il silenzio di tanti, delle stesse vittime che in questo modo, tacendo, si fanno però complici. “se fa il suo mestiere, un sindacalista rischia la rappresaglia”, è una verità su cui dovrebbero riflettere in moltissimi, a cominciare dai tanti che poi inveiscono contro “i sindacati” come se tutti fossero uguali, senza porsi minimamente il problema di dare sostegno a coloro che quelle rappresaglie le affrontano ogni giorno e preferendo invece il favore clientelare garantito da chi del nobile nome di “sindacato” fa occasione di lucro. Nella scuola come in molti altri contesti perché ci siano vittime occorre ci siano persone lasciate sole.
E’ così, è vero, caro Ferdinando. Noi non siamo stati battuti solo da pessimi e talora illegittimi governi, da rapporti di forza penalizzanti o dalla bravura di chi abbiamo combattuto. A decidere è stata la miseria morale e l’inadeguatezza di tanti, troppi colleghi, Dispiace dirlo, ma è così. Che può dare ai suoi studenti un insegnate che non tiene alla sua dignità?
Conosco di persona la situazione,oggi come allora a te solidale,per mia fortuna gli anni di confino al netto di variazioni della ‘ultim’ora , dovrebbero essere un po meno.
Non so se ti può consolare, cara Mariantonia, ma quando ti lasceranno andare, ricorderai tutto con orgoglio e sarai molto più ricca di Marchionne.