
Solo quando tutti assieme, movimenti, sindacati conflittuali e Amministrazione, sapranno passare dalla denuncia dell’illegalità istituzionale in cui ci muoviamo, alla disobbedienza motivata, dichiarata e concreta, la “città ribelle” uscirà dalle virgolette e sarà davvero una realtà. Se soldi non ce ne mandano e quelli che noi inviamo a Roma servono per pagare un debito che non abbiamo mai contratto, bene, a ciascuno il suo. I soldi nostri, noi ce li teniamo e lo diciamo chiaro e per iscritto: questo Parlamento è nato da una legge illegittima. Non è un nostro capriccio e non si tratta dei “soliti estremisti”, lo dice una sentenza inappellabile della Consulta, che non può essere sospettata di bolscevismo. Ne conseguono alcuni inoppugnabili dati di fatto: moralmente e politicamente illegittima è la maggioranza che vota la fiducia a questo Governo che non doveva e non poteva nascere. Idem per l’elezione del sedicente Presidente della Repubblica. Con tutte le conseguenze del caso.
Se questa è la premessa, la rottura meditata, costruita, prudente ma inevitabile, non può essere che radicale: noi non vi riconosciamo. Mettetevi in regola con le leggi, che invocate solo quando conviene a voi, poi ne riparliamo.
Giusto andare a Roma, giusto parlare di cambiamento radicale e addirittura di rivoluzione, ma viene il tempo in cui o le parole diventano fatti, o i fatti ti travolgono.
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