Quindici giorni. L’estate che non ami, nonostante il felicissimo vento di Otranto che non ha prezzo, e quaderni con anni di appunti in giro con te, infilati ovunque pensi sia facile tirarli fuori, e tutto il trasportabile – la borsa, il vecchio zainetto acquistato anni fa da una graziosa cinese a Firenze alle spalle di Santa Maria Novella, il borsello nero col quale vivi in simbiosi – tutto quello che potevi l’hai portato come si può ma non si dovrebbe: deformato, pieno zeppo di carte, annotazioni, rimandi a questa o a quella lettera greca, su questo o quel quadernone a pagina ics o a pagina ipsilon.
Quindici giorni di stramaledette vacanze trascorsi a cercare il quadernone con la copertina nera, e la “vespa story 2007”, che ti serve a identificarlo. L’hai cercato ovunque, paralizzato al sesto capitolo, senza potere o chissà, alla fine volere, mettere penna in carta e proseguire. Hai cercato ovunque, ti sei dovuto fermare, ti sei dato dell’idiota, hai concluso che non c’era dubbio, che l’avevi lasciato a casa, là, sulla scrivania, in quell’inferno di carte. La notte non ci hai dormito e te ne saresti tornato difilato a casa, ma non potevi.
Quindici giorni. Sei tornato, l’inferno di carte era proprio come lo ricordavi, ma del quadernone nero nemmeno l’ombra. Poco fa ti sei reso conto della verità: te lo sei portato appresso per quindici giorni, era lì, nella borsa del pc deformata e stanca di gonfiarsi come un pallone. Lì, dove l’avevi messo, nell’ampia tasca laterale, da cui non è uscita. Dovresti essere contento, diavolo. Non dovrai tornare a Roma per recuperare i mesi di lavoro che parevano persi. Domattina ricomincerai da dove t’eri fermato all’inizio del viaggio. E invece no, non fai festa, non ti ricordi Orazio e non batti i piedi nella danza: nunc est bibendum… No. Stai pensando che ora sai che significa essere vecchi. Essere vecchi significa portarsi appresso un quadernone necessario come un salvavita, credere di averlo lasciato a casa e scoprire di averlo avuto sempre con te, per tutto il tempo che non hai fatto null’altro che cercarlo ovunque, tranne dov’era logico ficcare il naso per sentirlo urlare: ehi, stupido d’uno storico, sono qua, dove vuoi che sia?
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Quaderno nero
30/07/2016 di giuseppearagno
Caro professore, come la capisco. E le sue sono cose importanti di lavoro. Io, più anziano di lei, la invito a non prendersela perché c’è di peggio con l’età: ed è quando stai parlando e non ti sovviene la parola, una parola semplice che hai nominato un casino di volte, che usi spesso, ma non viene e che rabbia: devi smettere di parlare…scusa ma non mi viene la parola… e ti suggeriscono un sacco di parole, ma non quella che hai in mente tu e pensi che poi, magari fra un momento, quando non ti servirà più, essa ti verrà in mente…ma come cazzo ho fatto a dimenticarla!
Pazienza…
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Ma anche esperienze del genere possono avere un risvolto positivo. Ci fanno vedere le cose in un’ottica diversa: ci insegnano ad essere un po’ più distaccati anche dalle cose a cui siamo attaccati di più, ad accettarci anche coi nostri limiti, difetti e imperfezioni… Ci insegnano ad avere ironia: quella che hai usato così bene per raccontare questo esipodio…
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Gentile Professore,
ci dicono anche che essere smemorati (“instable memory”) sia sinonimo di intelligenza, di flessibilità e di maggiore capacità di imparare le cose.
L’episodio che Lei racconta pare proprio riferirsi a questo, più che alle conseguenze degli anni.
C’è un bel libro, inoltre, di un grande neurologo italiano, il Professor Paolo Pinelli. L’ho conosciuto. Era schivo e modesto, grande umanamente, oltre un valoroso scienziato. Il libro si intitola “L’elogio della malinconia”. Egli scrive che la malinconia e’ una caratteristica delle menti ad alto funzionamento e si manifesta frequentemente proprio negli individui geniali.
A lei, infine, un augurio di bene.
Anna
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Grazie di tutto, cara amica e un augurio di ogni bene anche a lei.
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