Per Napolitano, tornato al Senato nei panni di Presidente emerito, lo Stato libico non è mai esistito. La storia, Napolitano, l’ha studiata in un liceo fascista e si vede che, tra libro e moschetto, il segno Giovanni Gentile l’ha lasciato. Non a caso, perciò, l’improvvida sortita conserva i caratteri inconfondibili di una visione colonialista così deteriore, che persino Italo Balbo si sarebbe dissociato.
L’ex presidente lo ignora, ma Balbo, politico evidentemente più duttile e preparato, fu così rispettoso del paese colonizzato, da scegliere una linea di distensione, che agevolò il culto musulmano e favorì l’insegnamento della lingua araba. Balbo, quindi, sapeva ciò che Napolitano ignora: lo Stato libico non solo è una entità viva sia storicamente che politicamente, ma richiede alla diplomazia quella prudenza che solo tre anni fa il nostro ex Presidente ripudiò sprezzante, inventandosi una sanguinaria reazione di Gheddafi, cui l’Italia non poteva assistere indifferente. Così, mentre la Francia faceva carta straccia del diritto internazionale, attaccando uno Stato sovrano senza mandato Onu, l’ex Presidente spinse l’Italia ad accodarsi all’aggressione. Da quella dissennata scelta nascono la tragedia libica e la «politica delle cannoniere» che, nel silenzio complice di Mattarella, taciturno ospite del Quirinale, Renzi resuscita inviando truppe e navi da guerra verso la costa libica, pronte a intervenire in difesa dei «nostri interessi».
Eppure, sin dagli anni Settanta, storici come Maurice Crouzet non solo riconobbero l’esistenza di uno Stato libico ma, ciò che più conta, individuarono le radici della nuova Libia, tornando indietro nel tempo, fino alla metà degli anni Cinquanta, allorché la Libia, benché in regime di semi-indipendenza, partecipò a Bandung alla prima conferenza internazionale dei popoli di colore, a cui non fu invitata nessuna potenza bianca. Ventinove Paesi, rappresentanti di più della metà della popolazione del pianeta, davanti a delegati sovietici e statunitensi ammessi solo come ospiti, condannarono all’unanimità ogni politica di discriminazione e di segregazione razziale e puntarono il dito sul colonialismo: «Noi abbiamo conosciuto e qualcuno di noi ancora conosce l’ignominia di essere umiliato nel proprio paese, di essere sistematicamente respinto ad una condizione inferiore […] dal punto di vista politico, economico, militare, […] razziale». Sul banco degli imputati le potenze occidentali e le loro tremende responsabilità, che una frase riassumeva meglio di tutte: «Il più sciocco e il più vile degli ubriaconi era il superiore degli uomini migliori del popolo assoggettato nella scienza, nella cultura o nell’industria».
Sotto il documento finale c’era anche la firma dello Stato libico di cui Napolitano nega l’esistenza. Di fronte a queste parole, un’affermazione come quella dell’ex Presidente dimostra che nulla purtroppo è cambiato e che, per quanto dissimulato, il sentimento di superiorità razziale è più vivo che mai in un Paese che non solo rinnega la sua Costituzione – dove vanno, Presidente Mattarella, le nostra navi da Guerra con a bordo truppe da sbarco? – ma continua a ignorare che la cosiddetta «minaccia islamica» è solo il rovescio del neocolonialismo visto con occhi arabi. Sono trascorsi decenni da quando Andrew Barnes, studioso della Nigeria, spiegava alla nostra cecità le ragioni per cui in Africa la concorrenza tra cristianesimo e Islam si risolve nel rapporto di uno a dieci: un solo cristiano acquistato, per dieci convertiti all’Islam. Il matrimonio tra neocolonialismo e neoliberismo non aveva ancora partorito l’integralismo e Barnes poteva perciò serenamente scrivere che l’Islam crea una salda unione tra i suoi credenti perché insegna l’eguaglianza dei diritti, delle classi e delle razze e si afferma perché non porta su di sé il peso della collusione con l’imperialismo europeo. L’Islam appare, anzi, una forte tutela nei confronti dell’Occidente e, pur considerandosi alfiere di un’elevata civiltà, non distrugge le culture ancestrali, non pretende di trasformare abitudini di vita e usanze indigene. Un’alta lezione che non abbiamo mai appreso, sicché descriviamo ancora i nostri soldati come «esportatori di democrazia» e copriamo le nostre infamie con lo scudo dei crociati.
Dopo aver armato alleati inaffidabili, ora ci prepariamo a stracciare la Costituzione. Mattarella tace. Al suo posto, qualora fossimo costretti a difendere con le armi gli interessi del nostro capitale, parlerebbe un redivivo generale Albany in divisa italiana, per annunciare al mondo, oggi, nel 2015, come nel 1917, che «gli ultimi crociati sono entrati a Gerusalemme».
Fuoriregistro, 2 marzo 2015 e Agoravox, 3 marzo 2015
[…] Fonte: giuseppearagno.wordpress.com […]
Il nostro presidente ha studiato nello stesso liceo “gentiliano”dove si sono formati gente come Togliatti, Gramsci, Amendola, Cossiga , Dulbecco , Rita Levi Montalcini , Primo levi , Natalia Ginsburg, Coppi ,Sanguineti, Montanelli, Enrico Fermi, Lombardi, Pasolini e mille altri grandi che, a differenza di lei, hanno fatto la storia del mio paese.
In quale liceo hai imparato le tue cretinate, Gigia? Quando Gentile varò la sua riforma,Togliatti, Gramsci e Fermi, avevano terminato il liceo da molti anni; Dulbecco si tenne il fascismo e le leggi razziali senza aprire bocca, Montanelli fece solo l’ultimo anno nel liceo riformato, ma fu amico personale di Bottai e fascista, eretico magari, ma fascista. In quanto a Coppi, padre della tua patria. si fermò alle elementari e del liceo di Gentile non conosceva nemmeno l’indirizzo. Naturalmente milioni di italiani hanno studiato nella scuola gentiliana. Ne sono venuti fuori personaggi squallidi come te e Napolitano e uomini di grande valore. detto questo, Gentile e il liceo non c’entrano nulla col mio articolo, ma a te mancano gli strumenti minimi per capirlo.
Non Fausto il campionissimo…
Beh, il ciclista non fu l’ultimo dei Coppi e in ogni caso i nomi sono necessari, soprattutto quando parli dei Russo, degli Esposito e dei… Coppi. Escluso Burri Coppi, che si è occupato di te, traducendo l’Idiozia, ma è nato troppo presto per Gentile, ce ne sono tanti. Di chi parli nel tuo demenziale commento? Padre Coppi, che a Viareggio fu un rifermento? Renato, lo statistico? Franco, il penalista? Carlo, il coreografo?
Gigia, dammi retta: sparati con una pistola ad acqua molto fredda, ti farà bene. Ora però ho da fare e affido allo spam i tuoi prossimo deliri.