Due parole a mente fredda sulla morte di Luigi Bifulco. Due parole oggi, quando la stampa di regime, compiuta la missione, ha chiuso la pratica e ha sepolto la verità con il ragazzo. Due parole per controinformarzione, sul velenoso trafiletto che Michele Serra scrisse per Repubblica l’undici settembre:
«La tragedia napoletana che ha visto morire un ragazzo per mano di un carabiniere è una specie di memento della catastrofe sociale italiana. Si vedono e si sentono i coetanei di Davide piangere e inveire, scandire slogan con il braccio teso nel modo degli ultras (la cultura “politica” largamente egemone tra i giovani dei ceti popolari di tutta Italia, anche fuori dagli stadi), e ieri chiedere e ottenere che il capo degli “sbirri” – un maresciallo civile, gentile – si levi il cappello davanti al lutto popolare. Ne sono morti dieci, cento volte di più per mano di camorra, di ragazzi come Davide, qualcuno anche innocente come lui, ma non risultano boss con il cappello in mano, a chiedere scusa.
L’illegalità implacabile che regola la vita di quei quartieri è l’evidente causa di questa e altre morti, fermarsi a un posto di blocco o mettere il casco o avere documenti in regola non fa parte delle premure messe a tutela degli altri e di se stessi. Nel clima di guerra l’assenza di pietà, i nervi tesi, lo sfoggio continuo di prestanza fisica e di impudenza sono le “qualità” richieste ai maschi giovani, e ne è rimasto vittima anche il carabiniere che ha sparato, lui, almeno, riconoscibile da una divisa e da quella divisa inchiodato alle sue responsabilità. Ma le responsabilità degli altri? Di tutti gli altri? Quanto se ne è parlato, in questi giorni? Quanto ha dominato il coro, invece, il lamento contro lo Stato sbirro e traditore, eterno alibi per non vedere il quotidiano tradimento contro se stessi di così tante persone?».
La deformazione dei fatti è cosi strumentale e brutale che, al confronto, la violenza sul ragazzo ucciso diventa carezza. Basta leggere attentamente per capirlo: Serra è fuori da una dimensione storica, è colto, ma stranamente ignora che all’alba della repubblica Guido Dorso chiese di sciogliere l’Arma dei Carabinieri, minaccia per la democrazia. Per Serra, il cuore del problema sono i nervi tesi del carabiniere che, guarda caso, è «vittima» assieme al ragazzo che ha ucciso. Il punto è che, senza coperture istituzionali, la camorra sarebbe finita. Dal «dittatore», Garibaldi, che a Napoli affida l’ordine pubblico a Liborio Romano, fino alla nascita della Repubblica e alla mafia che apre la strada ai «liberatori», è andata così. Porti la «cartolina precetto», che sottrae al lavoro contadini e operai, spari nella schiena al fantaccino che scappa sulla linea del fuoco nella «Grande guerra», tiri un colpo di rivoltella al ragazzino di un quartiere abbandonato al suo destino, o si tolga gentilmente il cappello, il carabiniere costituisce uno dei pilastri di un’antica ingiustizia: tutela gli interessi dei ceti dominanti. Così fu con Crispi, così con Mussolini, così oggi col governo Renzi-Napolitano.
Chiacchiere da bar? Non direi. Partiamo da fatti solo apparentemente lontani. Tra 1948 e 1950 le forze dell’ordine denunciano decine di migliaia di lavoratori e i giudici fascisti, che l’amnistia ha lasciati al loro posto, grazie al codice del fascista Rocco che nessuno ha voluto mandare in pensione, condannano oltre 15.000 “sovversivi” a 7.598 anni di carcere. Per farsi un’idea del clima che c’è nel Paese, basta un raffronto coi dati dell’Italia fascista, in cui, tra il 1927 e il 1943, il Tribunale Speciale condannò complessivamente gli imputati per reati politici a 27.735 anni di carcere. Per un triennio di storia repubblicana, quindi, la media annuale è di 2533. Molto più dei 1631 che fu la media annuale dell’Italia fascista. Nell’Italia repubblicana, nel 1948-52, in piazza le forze dell’ordine fecero, secondo dati ufficiali, 65 vittime (82 secondo fonti non ufficiali); in quegli stessi anni, in Francia si ebbero 3 morti, in Gran Bretagna e in Germania 6. A conferma del ruolo delle forze dell’ordine e della Magistratura, c’è l’intramontabile “modello Fiat”, varato dal fascista Valletta, passato agevolmente tra le maglie dell’epurazione: reparti-confino (tornarti di moda con Marchionne), schedature politiche e licenziamenti per rappresaglia di lavoratori comunisti, socialisti e anarchici. Nel 1974, una legge riconobbe la qualifica di “perseguitati politici” a 15.099 lavoratori e lavoratrici vessati in ogni modo tra il gennaio 1948 e l’agosto 1966.
Non sarà male ricordare sinteticamente a Serra i numeri agghiaccianti delle vittime. Non “casi” che vivono ancora nella coscienza del Paese, come quello di Giuseppe Pinelli, anarchico volato giù dalle finestre della Questura di Milano il 12 dicembre 1969, affidato al fascista Marcello Guida, già direttore della colonia penale di Ventotene, dove il regime aveva confinato lo stato maggiore dell’antifascismo militante a partire da Sandro Pertini. Si tratta di morti dimenticati, uccisi negli anni che vanno dalla caduta del fascismo ai giorni nostri.
26 luglio-27 settembre 1943 (caduta del fascismo-Quattro Giornate di Napoli e inizio Resistenza): il governo Badoglio ordina alla forza pubblica di sparare su chi protesta. A Bari, Bologna, Budrione, Canegrate, Colle Val d’Elsa, Cuneo, Desio, Faenza, Genova, Imperia, La Spezia, Laveno Mombello, Lullio, Massalombarda, Milano, Monfalcone, Napoli, Palma di Montechiaro, Pozzuoli, Reggio Emilia, Rieti, Roma, Rufino, San Giovanni di Vigo di Fassa, Sarissola di Busalla, Sassuolo, Sesto Fiorentino, Sestri Ponente, Torino, Urgnano, carabinieri, polizia e reparti dell’esercito in servizio di ordine pubblico fanno almeno 98 morti nelle manifestazioni seguite all’arresto di Mussolini e nelle lotte per carovita, lavoro, pace e libertà dei detenuti politici. In un sol caso, a Torino, durante uno sciopero alla Fiat, gli Alpini rifiutano di sparare. il 18 dicembre a Montesano, (SA), mentre ormai si lotta per la liberazione , le ultime vittime del tragico 1943. Il paesino insorge contro il malgoverno e paga con 8 morti. I carabinieri fascisti, ora badogliani, accusano ovviamente “elementi comunisti”. Ai carabinieri di Napoli un record insuperabile: l’arresto del primo partigiano, Eduardo Pansini, uno dei capi delle Quattro Giornate, a pochi giorni dall’insurrezione in cui è caduto da eroe il figlio Adolfo. Nei giorni di lotta sanguinosa, gli ufficiali superiori dei carabinieri, delle Forze Armate e dei corpi di Polizia se l’erano squagliata, lasciando in balia dei nazisti i loro uomini e la città.
Il 1944 con 35 vittime accertate e numerose rimaste ignote non va molto meglio. Il 13 gennaio a Montefalcone Sannio e a Torremaggiore esercito e polizia sparano ai contadini in lotta. Un conto preciso dei morti non s’è mai fatto. A Roma un carabiniere uccide un minorenne che manifesta contro gli accaparratori di grano, a Regalbuto i carabinieri uccidono Santi Milisenna, segretario della federazione del Pci. Di lì a poco cade una donna che manifesta per la mancanza di cibo, 3 morti si registrano a Licata, dove polizia e carabinieri sparano contro chi protesta perché all’ufficio del collocamento è tornato il dirigente fascista. A Ortucchio i carabinieri, giunti a sostegno dei principi Torlonia durante un’occupazione di terre, fanno due morti. A Palermo, una protesta per il caropane costa 23 morti. Stavolta sparano i soldati. Seguono due morti a Licata, un morto a Roma, e i tre morti di dicembre tra i separatisti siciliani
1945: 38 morti tra cui Vincenzo Lobaccaro, bracciante, scambiato per un ex confinato politico;
1946; 42 morti (7 cadono tra le forze di polizia);
1947: 8 morti (6 sono i militi uccisi;
1948: 35 vittime (ci sono anche 7 agenti caduti);
1949: 22 morti;
1950: 19 caduti;
1951: 4 morti;
1952: 2 vittime;
1953: 12 uccisi;
1954: 6 morti.
1955: non si spara e c’è tempo per un bilancio che non riguarda i morti. Secondo dati incompleti e parziali dal 1 gennaio 1948 al 31 dicembre 1954 ci furono 5.104 feriti e 148.269 arrestati.
1956: 7 morti;
1957: 4 vittime;
1959: 2 caduti;
1960: 11 morti ;
1961: 1 caduto;
1962: 2 vittime.
Una lunga pausa in coincidenza con l’esperienza del centro-sinistra, poi la contestazione giovanile e il triste elenco che si allunga:
1968: 3 morti;
1969: 5 caduti (1 poliziotto ucciso), cui si aggiungono Giuseppe Pinelli e Domenico Criscuolo, tassista incarcerato a Napoli durante una manifestazione sindacale. L’uomo si uccide dopo un colloquio con la moglie, che gli confessa di non sapere come procurarsi il denaro per vivere, insieme ai 5 figli. Strage di Stato e Servizi Segreti fanno i 17 morti del 12 dicembre a Milano uccisi da una bomba esplosa alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. E’ la cosiddetta “strategia della tensione“, che consentirà la repressione dei movimenti di massa di quegli anni. Per la strage di matrice fascista furono accusati senza alcuna prova gli anarchici, tra cui Pinelli e Pietro Valpeda.
Gli anni di piombo non rientrano un questo doloroso elenco. Furono anni di guerra civile strisciante e occorrerebbe un discorso a parte.
Il ritorno alla “normalità” si ha con il G8 di Genova nel 2001, quando una pistolettata uccide Carlo Giuliani e si registrano le feroci torture alla caserma Bolzaneto e alla scuola Diaz. Forse l’elenco che segue è incompleto e gli ammazzamenti non sono della stessa natura, ma basta avanza a giustificare la nausea per l’operazione di Serra.
11 luglio 2003: Marcello Lonzi, finito nel carcere di Livorno.
5 settembre 2005: Federico Aldovrandi, ucciso mentre viene arrestato.
27 ottobre 2006: Riccardo Rasman, finito per “asfissia da posizione”.
14 ottobre 2007: Aldo Bianzino, trovato morto nel carcere di Perugia.
11 novembre 2007: Gabriele Sandri, ucciso come Bifulco da un colpo accidentale.
14 giugno 2008: Giuseppe Uva, morto nella caserma in cui era stato portato.
22 ottobre 2009: Stefano Cucchi, ucciso durante la custodia cautelare.
3 marzo 2014: Riccardo Magherini, morto durante l’arresto.
Serra aveva di che riflettere su vittime e innocenti, ma il suo compito, per gli editori, è quello di impedire che riflettano i lettori. Meglio perciò le chiacchiere sulla camorra.
Uscito su Agoravox, IL 22 ottobre 2014
Tranne che negli Usa, nelle “grandi democrazie” si fa così: prima ti ammazzano, poi diventano… posto di blocco. Da zio Sam no. Lì, se sei nero, t’ammazzano e basta.
La ferocia della “sinistra perbene”…
che furbo!
fai schifo come tutti i furbi che vogliono atteggiarsi ad intelligenti.
La furbizia è l’intelligenza dei miseri , non dei napoletani che hanno talento.
Gentile Prof. Aragno,
viste queste ultime scomposte reazioni del solito e ringalluzzito anonimo cosiddetto “Marco” (il quale, per come scrive, tutto sembra, tranne che una persona giovane), si puo’ essere certi che Lei abbia toccato un nervo davvero molto scoperto.
Questi ripetitivi interventi si guardano bene dal confutare quanto Lei ha scritto. Chi scrive non se lo sogna neppure.
Non si amareggi, Professore. Non vale la pena di rispondere a piccoli (non per l’età) miserandi.
Anna
Egregio professore, rispondo con un certo disagio al suo post perché avevo letto alla sua uscita quella amaca di Serra e mi ero trovato con lui d’accordo mentre leggendola mi si intristiva l’animo. Ho sangue meridionale per parte di madre (pugliese) e non può immaginare quanto orgoglioso io sia di quella origine alla quale debbo, ne sono certo, tutto quel poco di ingegno che ho: ho fregato qualche notabile di qui col mio cognome manifestandogli a posteriori le mie reali origini. Ed oggi ho capito, a 78 anni, perché con mio padre, polesano, c’è sempre stato qualcosa che ci rendeva non in perfetta sintonia con dolore di entrambi.
Per venire al post, ho apprezzato tutte le informazioni precise e documentate che lei dà. Credo che esse siano, nei fatti, il risultato di una Unione fatta solo per soldi, quelli del Regno delle Due Sicilie, e non per intenti nazionali: tanto è vero che quei soldi finirono alle industrie del Nord e non all’Italia. -L’Italia non esiste e non è mai esistita; ciò che chiamiamo Italia è solo una unione territoriale messa su a forza per interessi padronali- così ha scritto Giovanni Testori che era una persona seria: invisa a destra perché non amava gli inutili orpelli, invisa alla chiesa perché autore non consolatorio pur essendo lui cattolico, invisa alla sinistra perché pensava con la propria testa. Credo basti per dirle quanto rispetto io abbia per i meridionali ai quali è mancato, certamente, lo Stato nella sua nuova forma che di loro se ne è letterlmente fregato, anzi li ha sfruttati fino al midollo; con il consenso dei notabili locali, però.
Per venire alla amaca di Serra, io non credo che Serra volesse offendere i meridionali, ma mettere in luce loro particolari difetti di scarso civismo. D’altronde nello spazio di un amaca si può dire poco. Al proposito non posso dimenticare che, per fare un solo esempio, quando si introdussero in Italia le cinture di sicurezza solo i napoletani per non usare quelle vere e gabbare la legge se le dipingevano sulle magliette. Ciò è certamente indice di ingegno, ma anche di scarso civismo.
Per andare un po’ più in là, ma non di tanto, non potrà negare che in Sicilia ci siano gravi problemi politici, di convivenza civile. La colpa? Secondo me sempre della assenza di un vero Stato. Riconoscerlo non significa mi pare dar botte ai siciliani.
La ringrazio per l’attenzione.
Le confermo la assoluta cordialità nei suoi confronti e la lettura sempre attenta ed interessata dei suoi post.
Manlio Padovan
Caro amico, non è sempre facile riuscire a dire chiaramente ciò che si pensa; sarà andata così con questo articolo. Mi spiace del disagio che le ha procurato e le rispondo senza riflettere troppo, perché il tempo mi manca ma non voglio sottrarmi alla sua sollecitazione. In generale, il ruolo delle forze dell’ordine è stato storicamente di parte e s’è fatto scudo di una costante ed equivoca protezione politica. Troppi morti senza ragione, troppe vite stroncate e mai pagate, troppa delinquenza di Stato, perché Serra sia autorizzato a difese di ufficio a dir poco sospette. Con intere regioni sepolte sotto montagne di rifiuti tossici, i carabinieri sono stati così zelanti, da non scoprire mai nulla di traffici compiuti alla luce del sole, col veleno che parte dal civilissimo nord, dopo accordi di imprenditori settentrionali e malavita organizzata meridionale, per giungere a Sud indisturbato. Non si tratta di questa o quella parte d’Italia o di coscienza civica dei meridionali; si tratta di corruzione generalizzata. Sono state anche e forse soprattutto aziende del nord a creare la “terra dei fuochi”. Dov’erano i carabinieri? Occorrerebbe chiederlo a loro, ma la prima impressione, per uno che se li trova davanti molto spesso nelle manifestazioni di piazza, è che tutto il loro impegno si sia ridotto alla sistematica, cieca e non di rado illegale repressione del dissenso politico. Di questo accuso Serra: di complicità con un potere politico ben più criminale del ragazzino ucciso non si sa perché.
Qui a Napoli si combatte in questi mesi una battaglia per la giustizia di cui non parla nessuno. E’ un attacco che parte dalle campagne mediatiche contro la città dei “lazzari”, fa passare per un pulcinella napoletano un sindaco eletto fuori dai partiti e ha un solo scopo, che non è geograficamente collocabile: spartirsi i miliardi per la “riqualificazione” di quello che fu un quartiere operaio della città ed è ora un affare d’oro per il malaffare politico. E badi bene che non sono solo politici meridionali. L’attacco principale l’ha sferrato il toscano Renzi e il fiume di soldi fa gola a gente di ogni parte d’Italia. E’ così schifosa e scoperta la manovra, che persino uno come me, che ai rappresentanti delle attuali Istituzioni non darebbe la mano nemmeno per un educato saluto, si incontra col “sindaco sospeso”, per dargli unano. Ha fatto mille errori, ma non s’è prestato al gioco di Renzi e compagni e lo si toglie di mezzo perché si mette di traverso e non consente a nessuno di giocare una partita sporca. Non stiamo parlando di sottobosco. Qui si comincia da Napolitano che, da ministro dell’Interno pose il segreto d’ufficio sulle dichiarazione di un pentito e si giunge in Parlamento e al Senato. Da De Magistris mi allontanai quando era al vertice della popolarità, ma oggi, che è in difficoltà, gli porto quanto posso: il capitale di stima che ho accumulato in quasi settant’anni di vita. Che io sia al fianco di un magistrato è una cosa che ha per me dell’incredibile, ma la ragione c’è: in discussione c’è la sorte di una città migliore di chi la racconta.
Nel mio articolo non c’è spazio per un discorso sul Meridione. I morti fatti dalle forze dell’ordine nel corso della storia della repubblica, quelli che ho calcolato per difetto, gli operai colpiti dalla repressione, sono di ogni parte d’Italia. E denunciano chiaramente qual è il ruolo dei carabinieri e dei loro difensori d’ufficio. E non le parlo solo da studioso. Sono stato appena assolto da un lungo processo penale in cui le forse dell’ordine mi accusavano di reati molto gravi. Il fatto non sussiste ha convenuto il giudice. Non poteva fare altrimenti e non ci sarebbe stato bisogno di avvocati. Con le carte di polizia ho una incredibile dimestichezza – sono pane quotidiano per uno storico dell’antifascismo. Non ci voleva molto a capire che i tre nobiluomini in divisa che mi accusavano s’erano messi d’accordo per mentire. Interrogati in separata sede (così devo credere), hanno tutti sostenuto questa strana verità: non solo i miei reati erano accaduti per ognuno degli accusatori in un giorno diverso da quello reale, ma tutt’e tre ricordavano lo stesso giorno sbagliato. Si fosse trattato di omicidio avrei ammazzato due volte la stessa persona. E non era la sola incongruenza grave nelle deposizioni. In base a quest’imbroglio un pubblico ministero ha scavato per tre anni nella mia vita senza mai inviarmi un avviso di reato, e non ha mai sentito il bisogno di interrogarmi. Quando finalmente ho potuto dire la mia, ha fatto marcia indietro e ha chiesto l’assoluzione. Né lui, né il giudice si sono posti il problema dei tre galantuomini in divisa che si erano accordati per raccontare i miei crimini. Io penso che Serra non ignori come stanno le cose nel nostro Paese e trovo inaccettabile la sua difesa di questo marciume. Se poi, per caso, davvero non sa di che parla troverei la cosa a dir poco sconcertante. Perché scrivere di cose di cui non si sa nulla? Il Sud con il mio articolo non c’entra nulla. Quello che veramente mi pare strano è il fatto che nessuno si meravigli dei tanti morti ammazzati per mano di chi dovrebbe proteggerci.
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