Sto pensando che oggi pomeriggio, senza nemmeno darsi appuntamento, le donne e gli uomini liberi di Napoli dovrebbero scendere di casa tranquillamente e avviarsi a piazza Municipio; uscire e incontrasi davanti Palazzo San Giacomo o alla sede della Rai, dove si costruisce ogni giorno l’immagine di una città virtuale e si imbavaglia quella concreta, vera, viva, la città di donne e uomini fatti di carne e ossa, di gente che ride, piange, lotta, stringe i denti e va avanti. Un flusso lento e costante, una marea che sale e monta, gente onesta, lavoratori, studenti, disoccupati, la città che non si arrende e non molla, la città che urla con quanto fiato le resta che no, non non ci sta, Napoli non ci sta, non lascerà passare questa vergogna nera che riemerge dal passato, non si consegnerà inerme in mano a delinquenti vecchi e nuovi che puzzano di malaffare e corruzione. Basta. La misura è colma e chi pensa che siamo disposti a subire si prepari a fare le valigie. Napoli è stanca, ferita ma non si è arresa. E’ ancora com’era il 27 settembre del 1943.
Quello che è accaduto ieri meriterebbe una risposta. Pacifica, certo, non si discute, ma anche pronta e ferma. Chi muove i fili, dai politicanti stile Bassolino, alla stampa padronale – e qui purtroppo c’è solo quella – i conti li fa in maniera rozza, perché misura gli altri da se stesso: se la gente sta zitta accelera, se capisce che non c’è strada frena. Se riuscissimo a dare un segnale spontaneo, da persone libere, gli romperemmo il giocattolo tra le mani. Non sono uniti. Li unisce la nostra presunta indifferenza, l’idea che siamo rassegnati. Questi domani dovranno passare per le urne. E lì conteremo noi, se oggi sapremo diventare un blocco sociale. Qui non si sta combattendo per un politico. Per loro De Magistris rappresenta in questo momento un ostacolo da spazzare via, per noi la città pulita, la città della gente. Lo dico senza retorica: il futuro è nelle nostre mani.
Forse sto solo sognando, lo so. Ma ho vissuto abbastanza per poter dire, da testimone oculare, che i sogni a volte diventano realtà. Non è vero che tutto è affidato alla Provvidenza e ci pensa il buon Dio. Io mi ricordo l’Italia senza divorzio, la scuola senza rappresentati d’Istituto, le donne denunciate per abbandono del tetto coniugale, l’aborto clandestino, la scuola d’avviamento professionale per i figli della povera gente e l’esame d’ammissione alla scuola media per quelli della buona borghesia. Mi ricordo i licenziamenti senza articolo 18, la gente che si arrangiava in mille modi perché non c’era come mangiare. Ero nipote di un antifascista e si faceva la fame, perché ci avevano tolto tutto. Sono stato scugnizzo tra scugnizzi e ho venduto sigarette di contrabbando ai marines. Piano piano.però, ho trovato vie che si aprivano e una Costituzione che ci garantiva. Oggi sono uno studioso. Ne ho fatta di strada, ho trovato, nascendo, un altro pianeta. Io e tanti come me abbiamo trovato un altro pianeta, ma l’avevamo cambiato, non era più così. Ci vogliono riportare a quei tempi. Ci stanno riportando a quei tempi. Con la legge, se gli riesce, con le cattive maniere, se necessario. E tutto è chiaro, sfrontato, tutto è nauseante e sa di camorra. Che si fa? Si sta zitti? Per me non è concepibile, io non posso star fermo e subire. Sono nato quando tedeschi e fascisti scappavano come lepri e nella miseria feroce del dopoguerra, ma ricordo gli occhi della gente: c’era la voglia di ricominciare e il coraggio di lottare. E’ questa la mia gente, questo il mio mondo.
Ditemi chiaro che ho vissuto troppo, ditemi che va bene così e ci dobbiamo rassegnare. Ditemelo e non starò più qui a farmi male e a rompere le scatole. Mi chiudo in un archivio e aspetto di tornare tra i miei compagni di un tempo. Può darsi che dall’altra parte ora stanno facendo sciopero in paradiso e all’inferno e magari riusciremo a far passare l’articolo 18 tra diavoli e santi. Meglio lì, che in questo limbo che non sa di stesso, non ha memoria storica e non ricorda nemmeno che esiste una cosa che non si compra e non si vende. Noi la chiamavano dignità.
Dignità
13/10/2014 di giuseppearagno
Gentile Professor Aragno,
occasionalmente, su Internet, mi e’ capitato sott’occhio una decisione della Suprema Corte di Cassazione Penale del 2007, i cui estremi Le indico:
Cass. pen. Sez. V (ud. 16 – 04 – 2007) 02-08 2007, n. 31451.
Il Supremo Collegio, annullando la Sentenza del Tribunale di Monza, ha stabilito che l’espressione “Fai schifo” e’ reato.
Non occorre essere dei grandi geni per comprendere che cotesta espressione “abbia contenuto intrinsecamente offensivo, essendo irrilevante che esprima una mera opinione, in quanto qualsiasi ingiuria o diffamazione esprime una valutazione personale di chi offende” (Cass. cit.).
Oltretutto, ogni espressione diffamatoria e/ o ingiuriosa “reca in se’ un riflesso congetturale, esprimendo l’opinione o la valutazione di disprezzo di chi la profferisce” (Cass. cit).
Ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno (il che non e’), vale un insegnamento degli antichi: “Historia magistra vitae”.
Nel ringraziarLa per la Sua opera e per la Sua dirittura etica, morale, giuridica e storica, mi e’ grato porgerLe i sensi della mia considerazione distinta.
Anna M. L.
Grazie, non sapevo della sentenza che lei riporta. Mi pare giusta, non perché mi riguarda, ma per il fatto in sé, per la dignità di tutti che va salvaguardata. Anch’io, come lei, credo che le reazioni scomposte ad alcuni sei miei interventi abbiano carattere ambiguo e si spieghino con gli interessi toccati. Si inquadrano, del resto, perfettamente nei tempi che viviamo e mostrano soprattutto una sconcertante miseria morale. Se l’intento, tuttavia, è quello di intimidire o imbavagliare, è solo tempo perso. Grazie per le belle parole e buona serata.