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Mi dicono di un nuovo suicidio e nell’inevitabile dolore tutto pare più chiaro. Quando piangi i tuoi morti, non è difficile capire che stai combattendo una guerra. Purtroppo è così: siamo in guerra. In gergo militare si direbbe che ci stiamo difendendo da una proditoria aggressione. Inutile girarci intorno, di questo si tratta: di una difesa estrema, di una lotta “pro aris et focis” contro un’aggressione che non riguarda più solo la scuola o la formazione, ma la civiltà minacciata dalla barbarie.
C’è un disegno feroce del capitalismo che si mostra sempre più chiaro nei tratti nazisti: almeno metà della popolazione mondiale è un intralcio per le logiche del profitto. Lo stato sociale ha dei costi e pagare per la sopravvivenza dei poveri non è un “investimento produttivo”. Meglio, molto meglio, lasciarli morire. Dai milioni di “bambini di strada” esposti al tiro micidiale degli squadroni della morte”, agli immigrati che quotidianamente affogano nel Mediterraneo, alla Grecia martoriata dalla mortalità infantile, alla nuova schiavitù, tutto dimostra che l’esperimento hitleriano fu poca cosa, rispetto al macello programmato che si sta realizzando sotto i nostri occhi.
Ci stanno massacrando e i morti non si contano più. Abbiamo subito, subiamo e subiremo perdite atroci, ci sono stati, ci sono e ci saranno compagni lasciati per strada, che portiamo nel cuore. Prendiamone atto: o affrontiamo la guerra, rispondiamo colpo su colpo, con tutti i mezzi e le armi possibili e sconfiggiamo il nazismo che si cela dietro l’etichetta di neoliberismo, o ci faranno a pezzi senza nessuna pietà.
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