La storia non si fa coi se, ma i se possono dirci ciò che non sarebbe stato. Senza gli Occhetto, i D’Alema e i Napolitano, il Pci non si sarebbe sciolto, Monti e Letta non avrebbero mai fatto un governo e questa crisi, se fosse venuta, sarebbe stata affrontata diversamente. Non è andata così e in un quadro di dubbia legalità costituzionale eccoci a Monti e Letta. Dopo il “professore”, con Letta cambia qualcosa? Sì, certo. Letta è molto peggio. Col primo era salva la forma: un presidente della repubblica, sia pure discutibilmente, decise per un governo tecnico e i partiti consentirono. Non sci furono elezioni. Letta invece ha fatto un governo dopo un voto politico e contro l’impegno preso con gli elettori. Questo in un contesto europeo sempre più cupo.
Quando si parla di Europa, il riferimento al Manifesto di Ventotene è di prammatica. Lo fanno tutti. Tutti però evitano accuratamente di ricordare due dati: il primo è che si tratta di un documento antifascista, il secondo che individua lucidamente i futuri nemici dell’Europa dei popoli. Chi sono per Spinelli, Colorni e Rossi questi nemici? Le idee a Ventotene erano chiare: i “gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli Stati” e “le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie”. Di tali forze il Manifesto tenta una descrizione che fa pensare subito a Monti, Letta e, più in generale, al PD e ai nostri ultimi governi. Una somiglianza straordinaria: “uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i conti”.
Alla luce dell’esperienza, sbaglieremmo a cercare in queste parole il blocco sociale e il groviglio di interessi che si schiera oggi in campo antieuropeista; quando non è nazionalista, infatti, quel campo è una conseguenza della tragedia che viviamo. Sono piuttosto forze che hanno elaborato e imposto un’altra idea di Unione Europea, un’idea antitetica a quella antifascista di Ventotene. L’Europa, per dirla con Monti, in cui l’Esecutivo assume un ruolo pedagogico rispetto al Parlamento, l’Europa delle élite, delle banche e dei poteri forti. In una parola: l’Europa antipopolare che oggi ci soffoca e non bada alla sua legittimità democratica e alla rappresentatività politica; la governano infatti una Commissione di nominati e non ha una Costituzione votata che sancisca la nascita di una sovranità. Se uno ci pensa, uno strumento di attacco ai diritti e alle conquiste dei lavoratori – cuore pulsante della storia contemporanea – che ci conduce ben oltre il Novecento e salta indietro a piè pari oltre Montesquieu, oltre la divisione di poteri che si controllano reciprocamente e oltre la sovranità popolare, Un nuovo “antico regime”. Si addolcisce la pillola parlando di “postdemocrazia”, ma chi ha formazione marxista ricorda un monito terribile: socialismo o barbarie.
In questo quadro si collocano gli eventi di casa nostra, soprattutto se, da Monti a Letta, si esaminano in rapporto a un dato di fatto: la forzatura della Costituzione. Tutti sanno che la Consulta non ha ritenuto legittimi molti punti della legge Calderoli, nessuno dice però che, così stando le cose, potrebbe essere illegittimo l’operato delle Camere e dei Governi. Nessuno dice che la legge del fascista Acerbo nel 1923 poneva soglie di sbarramento per giungere al premio di maggioranza che quella Calderoli non prevede. E’ il dato storico a suggerire quello politico: la repubblica antifascista ha leggi meno democratiche di quelle fasciste. Questo spiega l’intento di Letta – riscrivere la Costituzione nata dall’esperienza antifascista – e dà un chiaro significato politico alla rivalutazione storiografica del fascismo e alla pietra tombale caduta sull’antifascismo. Non è un caso se, per giustificare la sostanziale saldatura del blocco borghese reazionario che è alla base del governo Letta, si tiri fuori la “pacificazione”. Di pacificazione si parlò, dopo la caduta del fascismo, quando si riciclò il personale fascista con la legge sull’epurazione di Azzariti, ex presidente del tribunale della razza e futuro primo presidente della Corte Costituzionale, e in piena repubblica magistrati e questori di provenienza fascista poterono colpire partigiani e lavoratori, fiancheggiare camerati e stragisti e gettare la croce sugli anarchici. Di pacificazione si riparlò, quando fu messo da parte l’antifascismo, riesumando i cosiddetti “ragazzi di Salò”, e di pacificazione si torna a parlare oggi, per giustificare un tradimento del voto popolare, che somma la destra e la sedicente sinistra e le schiera a difesa dell’Europa delle banche. Una difesa che impone la riscrittura della Costituzione.
Senza una sinistra schiettamente anticapitalista e internazionalista questo progetto è destinato al successo. Rimettere in campo una sinistra, però, non significa decidere a priori se essa debba essere riformista o rivoluzionaria: sarebbe come preparare la guerra e non avere esercito. Delle modalità di lotta è inutile discutere se, per rimetterla in campo, non si torna prima ai suoi valori di riferimento. Il tema della legalità, per dirne una, bandiera dei governi alla Letta, storicamente non riguarda la sinistra, nata lottando con una legalità che si faceva scudo dei codici per imporre lo sfruttamento. La sinistra sa bene che ci sono state la “legalità” crispina e quella fascista e sa che Terracini e Pertini detenuti furono ben più onesti dei loro giudici e carcerieri. La sinistra e la Costituzione sono per la giustizia sociale. L’idea delle relazioni tra le classi nelle vertenze sindacali, che unisce Marchionne e Letta non è liberale o liberista; è corporativa e, quindi, neofascista. La sinistra è per il sindacato di classe che non rinuncia al conflitto. Se non sono tempi da consigli di fabbrica e soviet, si può e si deve difendere da Napolitano e soci una democrazia parlamentare. Non ci sono guerre umanitarie. Sinistra e Costituzione ripudiano la guerra che non sia di liberazione. La sinistra è antimperialista e non ritiene terrorista chi ci combatte nei Paesi che occupiamo. Per la sinistra si tratta di partigiani, come partigiani e non banditi furono i nostri ragazzi nella Resistenza. Per la sinistra la scuola è statale; i privati istituiscono loro scuole ma lo fanno senza oneri per lo Stato. Si conviene che il voto è l’espressione della volontà popolare? D’accordo. Storicamente, però, la sinistra sta con la parte di Europa in cui il diritto ha radici latine e ha sempre visto nel sistema proporzionale la via maestra della rappresentatività in Stati di democrazia. Non si tratta di un dato tecnico, ma di un valore storico. La legge “truffa” del 1953, proposta dal democristiano Scelba e passata coi voti della sola maggioranza, modificò in senso maggioritario la legge proporzionale nata nel 1946, assegnando il 65% dei seggi della Camera alla lista o alla coalizione che avessero superato il 50% dei voti validi. La sinistra lottò compatta per non farla passare – il ricordo del fascismo bruciava ancora troppo per dividersi – la subì in Parlamento, ma la sconfisse nel Paese; nessuno opinò che Parri e Calamandrei col movimento di Unità Popolare non fossero “sinistra” e il loro 0,6% fece mancare al blocco di potere conservatore il quorum per ottenere il premio di maggioranza.
Per battere Monti, Letta, Merkell, la BCE e il dilagante autoritarismo reazionario, l’Italia di sinistra e l’Europa dei popoli devono passano per un crocevia: l’unità rispetto al quadro dei valori storici di riferimento.
Una sinistra per l’Europa e un’Europa per la sinistra
17/05/2013 di giuseppearagno
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