Non lo dirò col linguaggio da trivio del deputato che mostra il dito, ma la premessa è d’obbligo: se il variegato campionario di zerbini che impazza coi sondaggi la piantasse di spacciar veline, il terremoto sarebbe evidente: la maggior parte degli italiani non ne può più di Monti e della sua maggioranza bulgara che, fuori dal Parlamento, è una screditata minoranza. Sui modi si potrà discutere, sulla sostanza c’è poco da dire: l’on. Barbato ha ragione. Se dici Monti, Bersani, Alfano e Casini, più del quaranta per cento degli italiani, quasi metà Paese, si prende l’orticaria, brandisce il crocefisso e urla come invasata: “Vade retro Satana!”. In quanto alla mezzaluna votante, 20 stanno con Grillo, 15 si dividono tra Vendola, Di Pietro, Maroni e Ferrero e il dato, infine, non è solo chiaro, ma rivelatore: fuori del Palazzo, la Bulgaria di Monti è un’invenzione pericolosa, l’effetto d’una causa su cui si impone il silenzio ad ogni costo.
Alla prova dei fatti, Monti in testa, i celebrati professori si sono rivelati asini matricolati. Pochi giorni fa, Squinzi, il Presidente della Confindustria che, com’è universalmente noto, s’è formato alla scuola del bolscevico Zinoviev, gliene ha cantate quattro in tono tutto sommato misurato e se l’è presa col pinco pallino, chiamato a far da ruota di scorta a un governo che, su un percorso accidentato, buca copertoni un metro sì e uno no: il ragioniere Bondi, ha detto, in sostanza il noto sovversivo, ha “fatto solo macelleria sociale”. Se un giudizio così chiaro, netto e pesante nasce a destra, per volontario “fuoco amico”, non c’è scampo, tu pensi: il venditore di tappeti che nessuno ha mai votato e occupa come un clandestino la poltrona che fu di Giolitti, perché, si dice, il governo eletto non sapeva governare lo spread, tenterà la via della risposta politica. Invece no. Invece la testa sopraffina che ha gettato sul lastrico per errore o dolo centinaia di migliaia di onesti cittadini, che ha affamato i pensionati, che guadagnano mille volte meno di lui, ha cancellato lo Statuto dei lavoratori e ci ha fatto registrare picchi vertiginosi nella disoccupazione giovanile, l’ineffabile professore, non ha trovato di meglio che attaccarsi di nuovo allo spread, che evidentemente neanche lui governa, e invitare Squinzi a star zitto. Sarà pur vero che pinco pallo è un macellaio, nessuno deve dirlo. “Taci, il nemico ti ascolta!”, è stata, quindi, la risposta demenziale. D’accordo, à la guerre comme à la guerre, ma quale generale punta alla vittoria, sparando addosso ai suoi? Qui c’è altro e va detto.
Fosse stato in piazza, alla testa di familiari di imprenditori suicidati dalle banche, il Presidente di Confindustria avrebbe probabilmente sperimentato il significato concreto del monito postdemocratico: una banda di manganellatori in divisa protetti dall’anonimato gli avrebbe spaccato le ossa, come accade di norma nelle piazze del belpaese, poi il Manganelli si sarebbe scusato – c’è una beffarda sintonia tra le parole e i fatti – e il sottosegretario De Gennaro avrebbe espresso la sua solidarietà nei confronti dei “servitori dello Stato” che, non a caso, hanno sempre più spesso in petto i segni distintivi delle campagne di guerra e sono scelti apposta tra “guerrieri della democrazia” che girano il mondo, sparando a pescatori e “terroristi” nelle eroiche guerre che sosteniamo alla faccia della Costituzione.
Se ancora qualcuno non l’avesse capito, questa banda d’invasati è decisa a imporre con la censura e la violenza una ricetta velenosa. Da Genova a Basiano corre un filo rosso e insanguinato ed è ormai chiaro: siamo indigeni in un Paese coloniale. Ha ragione Angelo D’Orsi quando scrive che “le lacrime e il sangue non sono più metafora”, ma il discorso a questo punto non può fermarsi qui. La finanza e i tecnocrati si muovono con violenza perché seguono un progetto preciso e conoscono Marx meglio di noi. Sanno bene che “una nuova rivoluzione non è possibile, se non in seguito a una nuova crisi. L’una però è altrettanto sicura quanto l’altra”. Lo sanno e si preparano; perciò Monti intima a Squinzi di tacere e scatena il manganello. E noi, noi che la crisi la paghiamo, noi che ormai vediamo versare lacrime e sangue, noi che faremo? Lasceremo che rigore e violenza tengano a battesimo la nuova dittatura?
Uscito sul “Manifesto” il 14 luglio 2012 e su “Fuoriregistro” il 14 luglio 2012
parliamo di integralismo malthusiano applicato con il solito armamentario propagandistico e repressivo della cultura reazionaria ma con una variante inedita, stavolta: il fiancheggiamento dichiarato e operativo da parte di quelle forze politiche e sociali che avrebbero dovuto tutelare e quindi contrastare questo feroce attacco di classe, e che invece hanno fatto una miope e folle scelta di campo, neoliberista e a favore del padronato, per non perdere miserrime rendite di posizione che al punto in cui siamo, non sono più conservabili, Rendendo così ancora più inermi quegli strati sociali che erano fino a pochi anni fa, almeno nominalmente, il blocco di riferimento storico della cosidetta sinistra istituzionale! Di fronte ad un tale disastroso scenario una deriva autoritaria e fascista è più che una probabilità e lo spettro di una passiva accettazione di una società orwelliana sempre più concreto. Per cui alla domanda che poni, caro Giuseppe, ti rispondo che sì…lasceremo che rigore e violenza tengano a battesimo la nuova dittatura, come peraltro già sta accadendo, nonostante gli sforzi di noi pochi che tentiamo di invertire la rotta… lo so ciò che dico è senza speranza e la speranza è necessaria per poter reagire, ma il pessimismo della mia ragione, per ora, ha una prevalenza granitica.
Detto ciò continuo a lottare, ma spesso mi sento molto donchisciottesca…
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Non farò come Monti, non ti dirò… sta zitta. E’ tutto così tragicamente condivisibile, che non sarebbe giusto tacerlo. Dirò solo che in temopi in cui il fascismo trionfava, quando il fronte delle sinistre s’era ormai sfaldato e la corsa che si faceva sembrava avere ormai solo il traguardo della collaborazione, un manipolo di coraggiosi fece uscire un giornale clandestino che si chiamò “Non Mollare”, un nome che da solo valeva un progremma e raccoglieva attorno a Salvemini giovani come Ernesto Rossi, Traquandi e i fratelli Rosselli. Non è retorica la mia, ma convinzione ferma, sostenuta dall’esempio di quanti ci hanno preceduti. I fascisti strinsero i freni, confinarono, incarcerarono, torturarono; mandarorono i loro sicari fino in Francia e assassinarono Nello e Carlo Rosselli, ma il monito profetico di “Giustizia e Libertà”, non morì. Le idee non si ingabbiamo e non si uccidono e a nulla servì finire di galera GRamsci e di pugnale i Rosselli. L’avevano annunziato e fu così: “non vinceremo in un giorno, ma vinceremo”. Noi stiamo ripiegando in una ritirata che assume i connotati della rotta e siamo a una Caporetto, ma siamo forti della nostra storia e delle nostre idee. Pensano di averci schiacciati ma sbagliano. Li abbiamo condotti una volta a Piazzale Loreto, ce li riporteremo. Perderemo molte battaglie ancora, non tutti tra noi vedranno la luce della vittoria, ma infine vinceremo.
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