Ai politici non va giù, ma la storia, a scuola, la insegniamo com’è: gli italiani non sono “un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori“. La grottesca definizione, che si legge ancora sul Palazzo della Civiltà del lavoro, a Roma Eur, la inventò Mussolini nel 1935, mentre “civilizzava” gli etiopi, sepolti sotto nuvole d’iprite, in nome di Roma antica e di un colonialismo straccione di retroguardia.
L’Italia non ha una gran storia e all’estero lo sanno. Il biglietto da visita fu la “piemontesizzazione” del Regno, ottenuta dopo massacri, processi sommari, deportazioni e domicilio coatto. Si disse che la “giovane unità” poteva andare in pezzi, ma si trattò di scontro d’interessi, i dissidenti furono macellati e il mondo civile ne fu nauseato. Mazzini morto in casa Rosselli sotto falso nome, Garibaldi sorvegliato come un delinquente, gli scandali bancari e i rapporti tra politica e mafia non portarono, poi, acqua al mulino del nuovo regno e la crisi di credibilità del nostro paese è molto più vecchia di Berlusconi. Prima abbiamo avuto Crispi con leggi marziali e domicilio coatto, Bava Beccaris decorato al valore per aver sparato a mitraglia sui milanesi scesi in piazza per la fame, le giovani generazioni senza diritto di voto costrette ad ammazzare e farsi ammazzare per la “patria dei galantuomini” e una questione femminile che si riassume in un amen: le donne contavano quanto gli asini e le mucche. Nel tritacarne della “grande guerra” operai e contadini ce l’infilarono con la forza il re e gli industriali, ma quando si trattò di saldare il conto, pagò la povera gente e gli imprenditori furono così egoisti che Giolitti minacciò Agnelli di sciogliere la Confindustria. Per tutta risposta, i padroni del vapore finanziarono il fascismo.
Questa è la nostra storia, così la conoscono all’estero e così noi la spieghiamo agli studenti. Il capitolo giustizia è tra i più tristi con la vicenda atroce di anarchici, socialisti e comunisti segregati nelle isole e nelle galere o sepolti vivi nei manicomi. Ce n’è per ogni momento storico. Romeo Frezzi ingiustamente sospettato di complicità in un attentato, fu arrestato a Roma il 17 aprile 1897 e morì per le percosse subite nel corso di un interrogatorio. Nessuno fu punito. Nel giugno 1914 la polizia, infastidita dai discorsi contro la guerra, aprì il fuoco sui manifestanti. Sette giorni di scontri, tanti lavoratori morti ammazzati, ma i giudici non trovarono un colpevole. Tra il 1927 e il 1943, il Tribunale Speciale condannò 4.596 “sovversivi” a 27.735 anni di carcere. “Carcere duro” si disse allora.
Con la repubblica, nacquero speranze, ma tra il 1948 e il 1950 ci furono 15.000 oppositori politici condannati a 7.598 anni di galera. Tra il 1948 e il 1952 in piazza, da noi, la polizia fece 65 morti. In Francia, in quegli anni, di morti ce ne furono 3 e in Inghilterra e Germania se ne contarono 6. Sono numeri che all’estero conoscono bene, così come è noto un dato impressionante: una legge dello Stato ha riconosciuto che tra il 1948 e il 1966 in Italia ci sono stati 12.981 lavoratori e 2.078 lavoratrici che hanno subito persecuzioni politiche.
Col 1968 sembrò che si girasse pagina. A Milano, invece, nel dicembre del 1969, Giuseppe Pinelli, ch’era stato staffetta partigiana, arrestato benché innocente per la strage di Piazza Fontana, morì dopo un inspiegabile volo dal quarto piano della Questura di Milano. “Malore attivo“, decise il giudice D’Ambrosio. Nessuno capì cosa fosse, ma nessuno pagò.
Così va da sempre.
Marcello Lonzi, detenuto per tentato furto, è stato massacrato ed è morto in cella alle Sughere, a Livorno, l’11 luglio del 2003. La sentenza di archiviazione del 2010 ricorda il caso Frezzi: è stato un “forte infarto“. Le perizie, però, hanno accertato fratture, escoriazioni e due “buchi” in testa.
Il 27 ottobre 2006 Riccardo Rasman, un povero psicopatico, si rifiutò di aprire la porta. La polizia non chiamò il centro di salute mentale, entrò con la forza, gli bloccò i polsi con due manette, gli legò le caviglie con filo di ferro e lo pestò – dall’autopsia emerge una ferita alla testa inferta presumibilmente con un corpo contundente – poi lo stese a terra, un agente si sedette sulla schiena e lo sventurato morì per asfissia. Il giudice ha condannato due capi pattuglia e un assistente a sei mesi di reclusione ciascuno con la sospensione condizionale della pena.
Stefano Cucchi, arrestato a Milano nella notte del 15 ottobre 2008, morì una settimana dopo all’Ospedale “Sandro Pertini” per un violentissimo pestaggio e sono in pochi a credere che i colpevoli pagheranno. In compenso, Spartaco Mortola, ex dirigente della Digos di Genova durante il G8 del 2001, condannato in secondo grado a tre anni e otto mesi di carcere e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per l’irruzione alla scuola Diaz, è stato promosso questore.
Qui da noi va così. Dal 2001 al 2010 nell’inferno delle carceri sono morti 1582 detenuti; di essi 775 si sono suicidati. Gli Istituti di pena ammassano reclusi come carne in scatola, ma nessuno muove un dito, così come nessuno parla dei CIE, i lager nei quali, per disposizioni del ministro Maroni, non fanno entrare nemmeno i deputati.
Questa è la nostra storia e, parlando di giustizia, un docente non può non ricordarlo: la legge Reale del 22 maggio 1975 consente alla forza pubblica discrezionalità nell’uso delle armi per necessità operative, estende il ricorso al carcere preventivo anche senza flagranza di reato, in modo da tener “dentro” un cittadino per 96 ore senza un decreto dell’autorità giudiziaria. Nel 1986 la legge n. 663 introduce l’articolo 41 bis che, emendato dall’art.19 del decreto legge n. 306, nel 1992 estende le limitazioni ai detenuti (anche in attesa di giudizio) per criminalità organizzata, terrorismo o eversione, riduce il numero e modifica le regole dei colloqui, limita la permanenza all’aperto (“ora d’aria“) e censura la corrispondenza. A tali categorie di detenuti s’è applicato l’art. 4 bis della stessa legge, che concede i benefici carcerari e le misure alternative alla detenzione (permessi premio, lavoro esterno, affidamento a servizi sociali, semi-libertà, detenzione domiciliare) solo a chi collabora con la giustizia. Di nuovo “carcere duro“, quindi, ma, dicono in molti, quello fascista era più mite,
Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, dopo aver visitato le nostre galere e verificato le condizioni dei detenuti soggetti al regime ex art. 41 bis, ha concluso che le restrizioni rendono i trattamenti inumani e degradanti. I detenuti, privati di ogni attività e tagliati fuori dal mondo esterno, presentano alterazioni spesso irreversibili delle facoltà sociali e mentali.
Nel 2002 il Ministro della Giustizia Castelli volle rendere permanente la validità dell’art.41 bis e il Parlamento con la legge 279 approvò la proposta, sicché oggi non c’è più alcun limite temporale e si va avanti così: una visita di un’ora al mese, sessanta minuti di colloquio, ascoltato e registrato, solo con familiari di grado diretto o conviventi. I volti sono separati da una lastra blindata per impedire, col gelo trasparente del vetro, ogni calore di contatto umano anche quello d’una mano sfiorata. La condanna, la pena e la sofferenza toccano così anche ai parenti innocenti. Lo scambio delle voci non è diretto: la voce, fatalmente alterata, passa per un citofono. Pare che a poco a poco si smarrisca così il ricordo del suono vero. Un ipocrita residuo d’umanità consente che i figli minori di12 anni possano parlare senza vetro e citofono una volta al mese, per dieci minuti.
Il Sant’Uffizio avrebbe provato brividi.
Il fine costituzionale del “recupero” è smarrito: mafiosi e “sovversivi” non sono più riconosciuti come uomini e poco importa se l’isolamento profondo fa impazzire. Il “pacchetto sicurezza” porta voti e più lo inasprisci più ci guadagni. Di qui, la gara a chi fa meglio: limiti alla possibilità di corrispondere con le famiglie, posta controllata, nessuna attività ricreativa, nemmeno se si tratta di studio, nessuna frequenza di corsi scolastici. Il detenuto studia da solo. Anche le celle sono fatte apposta: fitte maglie metalliche filtrano la luce e l’aria e le file di sbarre sono moltiplicate. Non c’è un’utilità pratica, né si garantisce più sicurezza. C’è, com’è stato scritto, “il valore simbolico ed effettivo di una ordinaria continua afflizione“*. Una sola via d’uscita: collaborare con la giustizia, com’era durante il fascismo, quando se la cavava solo chi vendeva nomi e passava al regime.
Questa è la storia. Napolitano e il Parlamento, che si strappano i capelli per Battisti non estradato da un Brasile che non prevede ergastolo e tortura, farebbero meglio a occuparsi di quello che accade a casa nostra. Una casa di cui noi, che siamo insegnanti, non possiamo che spiegare la miseria morale.
* Prefazione di Sergio D’Elia a Nazareno Dinoi, Dentro una vita
Uscito su “Fuoriregistro” e “Report on line” il 10 giugno 2011
Sono daccordo quasi su tutto,ma aggiungerei la grande ipocrisia di volersi presentare ai cittadini (e al mondo)come”difensori delle vittime di Gheddafi”.
E’ vero. sì. Qui da noi alla vergogna non c’è mai fine.
Hai ragione Geppino. Ed è tutto molto triste. Nel Paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria, è doloroso constatare lo stato di inciviltà e di barbarie della giustizia. Io mi trovo spesso a dover spiegare ai miei giovani alunni – non si capisce perchè molto forcaioli, che vedono come panacea di tutti i mali il carcere a vita e la pena di morte – che lo scopo del carcere è non solo la punizione, ma anche la redenzione. Ma sarà ancora vero? Credo che Battisti andrebbe estradato, credo che dovrebbe espiare le sue colpe in Italia. Ma credo anche che ci vorrebe una riflessione serissima sul nostro sistema giudiziario e sulle numerosi morte in carcere. Il mio pensiero va spesso al giovane Federico Aldovrandi e alla sua coriacea mamma. E se è vero che ci dovrà essere giustizia per le vittime di Battiste, è altrettanto vero che giustizia, vera, dovrà essere fatta per Federico, e per tutti gli altri che, come lui, sono stati uccisi da quelli che dovrebbero essere i tutori dell’ordine pubblico e che invece si comportano come i giustizieri della notte.
Sì, triste davvero, Angela. Per Vico la storia ha un andamento ciclico: a periodi di crescita e conquiste civili, seguono fasi di imbarbarimento. Ci vedeva dietro un disegno divino, una “ragione” guidata dalla provvidenza. Non so se avesse ragione ma, se fosse vero, a non sarebbe toccata la malaventura di vivere il momento negativo, quello che vanifica i grandi progressi e riconduce tutto alla barbarie. Tu, che sei giovane, hai mille speranze ancora da coltivare e puoi credere in un cambiamento. Io mi contento dei segnali che vengono dalle piazze del nordafrica, dalla civile rabbia madrilena e dal terremoto che annunciano risultati come quelli del referendum. In quanto a Battisti, un Paese più libero e civile si sarebbe posto da tempo il problema storico di una soluzione politica delle contraddizioni ereditate dagli “anni di piombo” e avrebbe provato a fare i conti con la sua storia. Da Portella delle Ginestre alla strage di Bologna e giù, fino ad anni vicini, qui da noi il segreto di Stato, i servizi deviati, le inconfessate e inconfessabili intese tra politica e malavita organizzata, hanno reso e rendono indecifrabile la storia della repubblica. Abbiamo fatto funerali di Stato a Badoglio, assolto i criminali di guerra, processato i partigiani, lasciato in cattedra gli “scienziati” che firmarono il manifesto della razza e impunito l’intero mondo fascista. Non è scandaloso pensare che gli “anni di piombo” non si possano giudicare oggi facendo ancora ricorso al codice penale. E’ scandaloso che ad attaccarsi al codice sia un Parlamento che assolve Cosentino e si ingegna di sottrarre ai giudici Berlusconi e soci. Basta. Comizio terminato e impegno ribadito: c’è un appuntamento da prendere per il libro tuo. Non ho dimenticato.
Caso Rasman: La centrale della polizia su richiesta dei poliziotti che sul campanello avevano trovato scritto il cognome con la Z hanno chiamato qualcuno del centro di salute mentale per sapere se era LUI , avuto conferma lo hanno UCCISO DI BOTTE , questo si sente dalla registrazione telefonica in nostro posesso, l’ unica che la magistratura cosegnata al giudice , mancano altre telefonate che ci sono state negate, come chi aveva telefonato il custide alle ore 19. 45 che stesso Polanz disse nel verbale che avevano chiamato da casa SUA al 9 piano , quindi prima dello scoppio dei 2 petardi alle ore 20 , come facevano a sapere che Riccardo era arrivato a casa alle ore 19.45 al 4 piano ‘? SOLO se la vicina di Riccardo lo senti arrivare perchè aveva con se una radiolina tascabile , trovata sulla finestra, nel verbale la stessa vicina Steiner disse che andò a battere la porta di Riccardo perchè sua figlia non poteva sudiare , e andò dal vicino sul terrazino a vedere se era solo o c’era qualcuno con lui, alle ore 20 il vicino dice che ha sentito un botto , alzò gli occhi e vide fuori delle sue finestre una piccola nuvola. questo questo era il primo botto , lui non vide la mano di Riccardo lanciare il petardo- SENTI’- non feri’ nessuno perche nel fratempo era arrivata la figlia dei Polanz sul terrazino al 4 piano che gridava come una pazza , non avrebbe potuto ferire nessuno perchè scoppiò il petardo davanti le finestre del vicini che fanno angolo con le finestre di Riccardo, chi sa cosa avrà pensato Riccardo sentire le urla e poi vedere il poliziotto con gli occhiale sul terrazino del vicino ,l’unica cosa che fece , disegno l’ uomo con gli occhiali al pubblico ufficiale scrisse ora hai capito tutto, non fatemi del male perchè io non ho fatto nulla di male, per piacere per favore, per cortesia , ERA IN TRAPPOLA , nella sua mente che TRAUMA , lo avrà collegato al biglietto di minaccia di MORTE, era arrivata la sentenza? ……
Biglietto di minaccia di morte per Riccardo si è realizzato , significava anche colpire la famiglia , la stessa persona dopo esattamenta un mese querelò la madre, perche si doveva fare come voleva lei, se no avrebbe portato sette testimoni perchè si sentiva insultata. Si schiaccia una famiglia quando si hanno dei grossi interessi , ora ha dimostrato cosa architettavano da anni , i poliziotti dissero quella sera – cosi’ non disturberà più nessuno- e a quanto risulta dai verbali la questura conoscieva molto bene che un avvocato FABIA BOSSI voleva una servitù di passaggio sul terreno dei Rasman , si sente molto protetta se in 4 anni nessuno ripeto nessuno ha fatto accertamenti, ora a 4 strade sul suo terreno non gli bastava 3 strade, diceva che era interclusa , gli interessi sono grossi , e per raggiungerli si fa qualsiasi cosa per togliere gli intralci…
Caro Professore, mi sono imbattuto per caso su questo blog. Ho sostenuto molti anni fa l’esame di Storia Contemporanea con lei e ho scoperto con piacere questo suo spazio sul web per caso, mentre cercavo le deliranti affermazioni del ministro Brunetta sul suo mancato Nobel (!). Sono pienamente d’accordo con lei per quel che riguarda la doppiezza morale e l’ipocrisia che circondano il caso Battisti. Un ultimo appunto: ci sono latitanti e latitanti. Quelli come Battisti sono utilizzati come mostri da sbattere in prima pagina, mentre per altri è sempre in atto un processo di riabilitazione postuma e i politici fanno la gara a chi va a trovarlo più volte sulla sua tomba, nonostante avesse dieci anni di reclusione sul groppone.
Seguirò con grande attenzione questo blog, attivo subito i feed. A presto e continui così. Luigi.
Grazie davvero e complimenti per la… memoria!