Si può essere in totale disaccordo, ma un uomo ha tutto il diritto di porre al centro dell’universo sociale una cultura che esprima un interesse particolare e fare l’elogio della scuola privata, che di tale cultura può e vuol essere al servizio. Certo, la funzione della scuola non è quella della famiglia e ne vien fuori un circolo vizioso che soffoca l’idea di pluralismo, esalta l’individualismo, impedisce la conoscenza e il riconoscimento della diversità delle culture. Il diritto, tuttavia, esiste e non può essere negato. Se quest’uomo, però, presiede il Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana ed è responsabile, quindi, delle sue politiche formative, la conseguenza di una simile presa di posizione dovrebbero essere le immediate dimissioni.
Con singolare temeraria arroganza, il ministro Gelmini ripete che il governo non attacca la scuola dello Stato, ma il suo Presidente urla ai quattro venti che quella privata è moralmente superiore. Le chiacchiere del ministro sono smentite dai fatti, che raccontano un’altra storia. Le tessere del mosaico che compongono il quadro sociale e i valori che esse esprimono sono tutelati dalla Costituzione, che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità“. La polemica di Berlusconi, quindi, è la spia di una povertà culturale incompatibile con la funzione di governo che è chiamato a svolgere. L’avvocato Gelmini e il dottor Berlusconi dovrebbero saperlo. All’Assemblea Costituente un uomo della personalità di La Pira pose con forza e autorevolezza l’accento sulla tutela della sfera privata e negò legittimità allo Stato che non rispetta i diritti della comunità familiare e di quella religiosa. Intervenne Dossetti con la sua spiritualità, convenne Togliatti col suo materialismo, concordarono Fanfani e Amendola. Si mosse un mondo e l’articolo 2 della Costituzione è frutto di quel dibattito. La scuola della Costituzione è quanto di nobile si è ricavato dal sangue versato nella guerra di liberazione,
La scuola cui pensano Berlusconi e Gelmini, al contrario, non solo tutela interessi particolari, ma cancella l’anima “collettiva” della formazione, quella che vive nella seconda parte dell’articolo 2 della Carta costituzionale e richiede l’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“; è una scuola che nasce da una lettura classista di un testo necessariamente, ma anche nobilmente interclassista, prodotto dai valori dell’antifascismo. Una lettura eversiva, che ha il suo riferimento teorico nella barbarie neoliberista e il suo “rovescio pratico” nel “governo materiale” del sistema formativo: la mannaia sulle cattedre, i tagli indiscriminati ai fondi, l’affollamento delle classi, la cancellazione di materie.
Tradotto in termini concreti, in questo momento il berlusconiano primato del privato significa che a Napoli all’Università Orientale non si insegneranno più Linguaggi multimediali, Informatica umanistica, Plurilinguismo e interculturalità nel Mediterraneo, Traduzione letteraria, Linguistica dell’Asia e dell’Africa, Politiche ed economia delle istituzioni, Sviluppo e cooperazione internazionale, Politiche e istituzioni dell’Europa; alla Statale di Milano Storia dell’Asia, Storia e Istituzioni dell’Africa e Storia dei paesi islamici sono state escluse dai programmi dei corsi di laurea di Scienze Politiche; ad Avellino non si insegnano più Medicina e Chirurgia. In compenso mentre si uccide il diritto allo studio, in Parlamento, alla commissione Istruzione alla Camera, si riaffaccia la proposta di legge della Lega firmata da tale Paola Goisis, che impone l’insegnamento del dialetto in classe. L’obiettivo non è la “cultura della famiglia“, ma l’imbarbarimento della cultura dell’uomo e della donna.
E’ vero, la cultura non si mangia e di mancanza di cultura non si muore. Tuttavia, il governo che in una società “avanzata” distrugge il sistema formativo è criminale quanto quello di un Paese nordafricano che aumenta il costo del pane. Pane o cultura, un popolo scende in piazza.
Uscito su “Fuoriregistro” il 9 marzo 2011
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