Non è una barzelletta da salotto snob e nemmeno una battutaccia da guitto di avanspettacolo della Belle Époque, sparata via così, dal palcoscenico del vecchio”Salone Margherita“. No. E’ la versione ignobile della nobile e antica saggezza latina. Se è vero, infatti, che “Carmina non dant panem“, sostiene Giulio Tremonti dall’alto delle sue poltrone di ordinario di Diritto Tributario e Ministro della Repubblica, non meno vero è che “ la cultura non si mangia“.
Non dirò ch’è farina del mio sacco. L’idea me l’hanno suggerita, ma davvero mi pare non ci siano dubbi: ha il crisma della santità. La fulminante sintesi del pensiero economico-politico trionfante è un vero e proprio “manifesto del regime” che governa l’Italia berlusconiana, tutta ignoranza di veline, autentiche patacche, verità di pennivendoli, trionfo di mediocri, scienza di ballerine e arte da postribolo. La cultura non si mangia, ma si taglia alla radice nel bilancio del Paese, per cancellarne storia, identità e coscienza critica e piegarlo ai voleri d’una classe dirigente vile, corrotta, autoritaria e classista.
Povera e nuda vai, Filosofia / dice la turba al vil guadagno intesa, scriverebbe nuovamente Petrarca, ma non troverebbe facilmente lettori. Qui la poesia è bandita. Il cardine attorno al quale gira il nostro Paese, sventurato e complice, è la violenza autoritaria delle sue classi dirigenti. Checché ne pensino Bossi e la sua traballante scienza politica, è questo il nodo per cui, da Sud a Nord, fatta l’Italia, non si sono mai fatti davvero gli italiani. Sembra incredibile, ma è così, in un secolo e mezzo di vicenda nazionale, qui da noi, la storia contraddice se stessa e si ripete. La verità nuda e cruda l’intuirono in epoche diverse, ma lucidi e impotenti, Federico De Roberto e Tomasi di Lampedusa: qui tutto muta, perché nulla cambi. Perché così accada, è necessario naturalmente che l’ignoranza affligga perennemente gli italiani. La storia della nostra scuola è per questo soprattutto storia di un’eterna indigenza e d’una incurabile miopia: classismo, provincialismo, mancanza di disponibilità economiche, carenza di strutture e di risorse umane, timore di una crescita popolare. Poche le aperture e tutte volte alla formazione delle élites. Fu così con la riottosa Destra storica, che badò soprattutto ai problemi del Bilancio e, quando si trattò di scuola, abbandonò al suo destino quella primaria, e si è andati avanti allo stesso modo di tempo in tempo, col lombardo Depretis, il siciliano Crispi e il romagnolo Mussolini, che fece della scuola di Gentile la più “fascista” delle leggi del regime. Se la Dc di De Gasperi dichiarò “sovversivo” il giorno dedicato alla festa del libro, il sedicente Popolo delle Libertà di Tremonti e Gelmini è giunto a teorizzare la prevalenza della pancia sul cervello. La ragione di tutto questo la spiegava Don Milani ai suoi ragazzi e pareva parlasse a Tremonti: “il fin ultimo della scuola è tirar su dei figlioli più grandi di lei, così grandi che la possano deridere“. Tremonti, lo sa bene, e per questo ha in odio la scuola: teme i ragazzi che ragionano con la loro testa.
Uscito su “Fuoriregistro” il 10 ottobre 2010
L’esistenza del regime e di un manifesto, l’esistenza di burattinai e burattini non venga, però, usata come alibi per la nostra ignoranza.
Non c’è più spazio per la protesta se essa si riduce allo sventolio di bandiere e a striscioni sterili.
Se protesta deve essere, lo sia nel quotidiano. La rivoluzione nasce prima di tutto nella coscienza di noi cittadini.
La cultura non appartiene a quel circo che è ormai il nostro governo. Chi lo pensa non solo sbaglia ma entra a pieno diritto nei titoli di coda del misero spettacolo che abbiamo sotto gli occhi.
La televisione è un contenitore di mediocrità?
Si? Bene. Possiamo spegnerla e riaccendere i neuroni.
L’informazione è una non-informazione?
Bene. Nel 2010 abbiamo tra le mani mezzi idonei a sviscerare le notizie, comparare le chiavi di lettura, dare noi stessi una chiave di lettura.
Possiamo scegliere di non essere recettori passivi, e se c’è scelta non ci sono scuse o alibi a cui appellarsi.
Qualcuno potrebbe obiettare che in una democrazia i diritti costituzionali, che trovano tutela (formale)non solo nella carta fondamentale nazionale ma anche nelle dichiarazioni (di diritto) europee ed internazionali, dovrebbero poter essere di immediata fruizione.
Posso concordare (per grandi linee), ma la domanda che pongo è un’altra:
La nostra è una democrazia da proteggere, oppure è da ristabilire?
Oggi io non vedo un governo.
Vedo il Leviatano di Hobbes.
Ma non siamo nel 1651.
C’è spazio per una insurrezione.
L’insurrezione passa attraverso la nostra maturita culturale e a questa dobbiamo dedicarci.
“Considerate la vostra semenza
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza”
A.Z
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Condivido ogni parola. Dalla prima all’ultima. Prima ci sveglieremo e meglio sarà.
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