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Archive for ottobre 2013

Aveu_René_3Il marchio di fabbrica non è d’origine control-lata – ai suoi tempi provò la Gelmini – però diciamolo: se la memoria è corta, almeno ci innamoriamo del nuovo ed è subito passione. E’ bastato l’annuncio – sperimentiamo per-corsi liceali «brevi», quattro anni, invece di cinque – ed è già competizione. Isole felici, le scuole «paritarie», ma senti nell’aria che l’obiettivo è la scuola statale e quest’amore per il cambiamento apre il cuore alla spe-ranza. Il successo è sicuro: tra offerte di pari qualità, tira di più quella che costa meno e il tempo ha un prezzo. Il «liceo breve» non solo «sfonderà», ma la crociata contro il «nuovo che avanza» – tempo scuola, catte-dre e lavoro inevitabilmente persi – non giun-gerà fino alla «Terra Santa» e la battaglia sindacale non varcherà il confine della «transizione»: gestione e momentaneo recupero di posti in un organico funzionale d’istituto.
La Ministra Carrozza ha ragione? Dire di no, legando i temi cruciali della «qualità» a una politica salariale seria, vorrebbe dire farsi impallinare al volo dall’accusa di corporativismo e, d’altra parte, chi s’è accorto che il defunto «stipendio europeo» ha avuto funerali strettamente privati? Per rispondere, occorre orientarsi tra i corni di un dilemma: l’«esperimento» tutela veramente la qualità del «prodotto», o riproduce «interventi» senza anestesia, già tentati sulla carne viva dei percorsi formativi? I precedenti inquietano e anche stavolta tutto piove dall’alto e non si dà parola a chi fa scuola. I segnali negativi, insomma, sono molteplici e l’intento mal dissimulato ancora una volta pare quello eversivo di una «lotta di classe dall’alto», tutta «business» per il privato, tagli per il pubblico e favori ai padroni, com’è accaduto per l’obbligo a 15 anni, l’Istruzione e la Formazione Professionale, i diplomi scolastici regionali, i colpi di mano sulla «chiamata diretta» dei Dirigenti Scolastici e via così, fino alle graduatorie della Lega Padana per docenti e personale Ata.
A favore dell’«esperimento» proposto dalle larghe intese Gelmini-Carrozza ci sono anzitutto i 1.380 milioni di euro risparmiati che, però, ci portano sul terreno dei conti e suscitano un quesito fondato: «spending review» o riformismo? La «seconda che dici», replica ovviamente il Ministero ma, come accade sempre quando s’intende celare l’obiettivo vero, ecco la cortina di fumo: la «riforma delle riforme» – o il taglio per eccellenza? – ci farà europei.
Il caso è singolare. Non siamo quasi mai europei, non abbiamo approvato il reato di tortura, che l’Europa chiede, diamo ai docenti stipendi che l’Unione processerebbe per sfruttamento, investiamo per istruzione e ricerca cifre tragicomiche nel contesto europeo, prepariamo il personale docente in una università nota per concorsi a cattedra che l’Europa definirebbe truffa, non abbiamo reddito di cittadinanza, ci teniamo per sacra reliquia il Codice penale fascista che l’Europa metterebbe al rogo, abbiamo Berlusconi perché non ci siamo mai dotati di una legge sul conflitto d’interesse degna dell’Europa, ma eliminiamo l’ultimo anno di Liceo perché in Europa va bene così. Esiste una verità di fede: ciò che accade in «altri paesi europei» è, per sua natura, criterio infallibile di legittimazione. Sorge il dubbio che, di questo passo, la destra razzista vittoriosa in Francia o un nazionalsocialismo redivivo al potere  in Germania sarebbero salutati come modello da imitare.
Per tornare ai corni del dilemma e senza cavillare sulle ragioni «tecniche» – quelle didattiche e pedagogiche di cui nessuno parla più – siamo sicuri che la Germania sia felice della scuola breve? Chi insegna all’estero narra un’altra storia. Dall’Assia, per esempio, gli italiani che insegnano ai tedeschi, testimoni oculari del dibattito che la Ministra sottace o, peggio ancora, ignora, sostengono che i docenti tedeschi invidiano l’anno in più e apertamente criticano la dannosa brevità di un corso di studi che affretta i tempi e non agevola la crescita graduale degli studenti. Non basta. Da un anno, una legge concede alle scuole di modificare il tradizionale percorso, allungando di un anno le superiori. Serve dirlo? Anche lì gara aperta, ma in senso inverso: genitori in fila per allungare. Fascino del nuovo – la scuola «sexy», come infelicemente l’ha definita la Carrozza – o le ragioni dell’istruzione? La risposta andrebbe data dopo discus-sioni serie, senza badare agli euro risparmiati e senza escludere gli addetti ai lavori. Sulla base all’esperienza concreta.
Premesso che un Paese ha una storia e un “modello” è un’istituzione a sé, così singolare, che è difficile e spesso sconsigliabile riprodurlo in contesti culturali e storici diversi, non si può tacere che in Francia, oltre alle università, esistono le «Grandes écoles», più prestigiose delle accademie. Vi si accede solo dopo le «classes préparatoires»,  corsi tenuti in scuole pubbliche e private, in base  a titoli e valutazioni di merito dei docenti dell’ultimo anno di liceo. Poiché gli in-segnamenti durano da due a tre anni, dopo i tedeschi, anche i francesi smentiscono la propaganda sulla «brevità» degli studi. Senza contare poi, per non perdere di vista democrazia e scelte di classe, il fatto che in Francia è così raro trovare all’università studenti contemporaneamente bravi e ricchi, che qualcuno l’ha scritto: la Francia non ha Università. L’intento era provocatorio, ma, al di là del giudizio di merito, è certo, che investendo moltissimo sulle Scuole d’élite, lo Stato non ha soldi per le altre istituzioni d’insegnamento superiore. Per quel che ci compete, qui non si tratta di decidere se, come dice qualcuno, il sistema educativo francese è il fanalino di coda dell’Europa o, come vogliono altri, un alto esempio di efficienza e democrazia. Il punto è che qui da noi, mentre la Francia dubita della democrazia e dell’efficienza di un “sistema” che, come s’è visto, non è affatto breve, mentre la Germania volge addirittura la prua verso i nostri porti, i capitani della nostra «Invincibile Armada» lasciano quei porti, mollano gli ormeggi e fanno rotta verso Nord. Invano la storia ricorda un tragico naufragio.

Uscito su Fuoriregistro, Liberazione e Report on Line il 29 ottobre 2013

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costituzione2kkChi sono e che hanno fatto nella vita i senatori del PD che hanno votato a favore di un cambiamento dell’articolo 138 della Costituzione? E’ in-credibile, ma vero. Una par-te cospicua ha dichiarato che prima di entrare a far parte del Senato della Repubblica lavorava per il partito o per un sindacato; numerosi sono anche quelli che hanno già avuto un ruolo politico nei Comuni, nelle Provincie o alla Regioni! Domandiamolo a loro, ai senatori del PD che hanno votato sì il 23 ottobre 2013:

COME AVETE OSATO METTERE MANO ALLA COSTITUZIONE, VOI CHE SIETE STATI ELETTI CON UNA LEGGE INCOSTITUZIONALE?

Albano Donata, Confagricoltori donatella.albano@senato.it; Angioni Ignazio, Le- gacoop, ignangioni@tiscali.it; Astorre Bruno, Politico, bruno.astorre@senato.it; Bertuzzi M.T. docente, mariateresa.bertuzzi@senato.it; Bianco Amedeo, medi-co, amedeo.bianco@senato.it; Borioli Daniele, danielegaetano.borioli@senato.it; Broglia Claudio, Politicoclaudio.broglia@senato.it; Bubbico Filippo architet-to, filippo.bubbico@senato.it; Caleo Massimo docente massimo.caleo@senato.it; Cantini Laura, impiegato, laura.cantini@senato.it; Capacchione Rosaria giorna-lista, rosaria.capacchione@senato.itCardinali Valeria, Coop Dirigen-te, valeria.cardinali@senato.it; Chiti Vannino, Politico, www.vanninochiti.com; Cirinnà Monica, imprenditore, monica.cirinna@senato.it; Cociancich Roberto, avvocato, roberto.cociancich@senato.it; Collina Stefano, ingegnere, stefano.collina@senato.it; Corsini Paolo, universitario, paolo.corsini@senato.it; Cucca Giuseppe, Politicogiuseppeluigi.cucca@senato.it; Cuomo Vincenzo, Poli-ticovincenzo.cuomo@senato.it; D’Adda EricaPartito, erica.dadda@senato.it; De Biasi Emilia, Partito emiliagrazia.debiasi@senato.it; Del Barba Mauro, pubblico Impiego, mauro.delbarba@senato.it; De Monte Isabella, Avvoca-to, isabella.demonte@senato.it; Di Giorgi Rosa. Ricercatore presso il Centro Nazionale delle Ricerche, rosamaria.digiorgi@senato.it; Dirindin Nerina, professoressa universitaria, nerina.dirindin@senato.it; Esposito Stefano Impiegato, stefano.esposito@senato.it; Fabbri Camilla, Sindaca-tocamilla.fabbri@senato.it; Fattorini Emma, professoressa universita-ria, emma.fattorini@senato.it; Favero Nicoletta, insegnante superio-ri, nicoletta.favero@senato.it; Fedeli Valeria Sindacato, valeria.fedeli@senato.it; Ferrara Elena, insegnante scuole superiori elena.ferrara@senato.itFilippin RosannaPoliticarosanna.filippin@senato.it; Finocchiaro Anna, Politica, Magistrato, anna.finocchiaro@senato.it; Fissore Elena, Imprenditrice, elena.fissore@senato.it; Fornaro Federico Dirigente, federico.fornaro@senato.it; Gatti Maria Grazia Sindacato mariagrazia.gatti@senato.it; Ghedini Rita Dirigente di cooperativa rita.ghedini@senato.it; Giacobbe Francesco, universitario,  francesco.giacobbe@senato.it; Ginetti Nadia, Politicanadia.ginetti@senato.it; Gotor Miguel Ricercatore universitario miguelgotorpd@gmail.com; Granajola Manuela, Dirigente INPS manuela.granaiola@senato.it; Guerra Maria Cecilia, universitaria, mariacecilia.guerra@senato.it; Guerrieri Paleotto Paolo Docente universitario, paolo.guerrieri@senato.it; Idem Josefa, Libero professioni-sta, josefa.idem@senato.itLai Bachisio, Silvio Medico, silviolai@gmail.com; Latorre Nicola, Avvocato, nicola.latorre@senato.it; Lepri Stefano lavoro non dichiarato, stefano.lepri@senato.it;  Lo Giudice Sergio, docente superiori, sergio.logiudice@senato.it; Lo Moro Doris, Magistrato doris.lomoro@senato.it; Lucherini Carlo, Partito, carlo.lucherini@senato.it; Lumia Giuseppe, Consu-lente, giuseppe.lumia@senato.it; Manconi Luigi, professore universita-rio, luigi.manconi@gmail.com; Margiotta Salvatore, docente universita-rio salvatore.margiotta@senato.it; Marino Mauro Maria, mail ?, Funzionario Regione; Martini Claudio Perito chimico, Partito , claudio.martini@senato.it; Mat-tesini Donella Assistente sociale donella.mattesini@senato.it; Maturani Giusep-pina, Impiegata, Politica, giuseppina.maturani@senato.it; Mercucci Andrea Imprenditore andrea.marcucci@senato.itMicheloni Claudio Pres. Federazione Colonie Libere Italiane in Svizzera claudio.micheloni@senato.it; Migliavacca Maurizio, Impiegato pubblico, mauriziomigliavacca@hotmail.com00; Minniti Marco Funzionario Partito domenico.minniti@senato.it;  Mirabelli Franco, Fun-zionario Partito franco.mirabelli@senato.it; Monassero Patrizia. Pubblico Impiego, patrizia.manassero@senato.itMorgoni Mario, Assicuratore (agente generale monomandatario), mario.morgoni@senato.it; Moscardelli Claudio, Avvocato claudio.moscardelli@senato.it; Mucchetti Massimo, Giornali-sta massimo.mucchetti@senato.it; Orrù Pamela Impiegata presso una Provincia. pamelagiacoma.orru@senato.it; Padua Venera Medico dipendente Azienda Sanitaria,  venera.padua@senato.it; Pagliari Giorgio, professore universi-tario giorgio.pagliari@senato.it; Parente Annamaria, pubblico im-piego, annamaria.parente@senato.it; Pegorer Carlo Impiegato, mail ?; Pezzopane Stefania, mail ?, lavoro ?, stefania.pezzopane@senato.it; Pignedoli Leana, docente di educazione musicale, leana.pignedoli@senato.it; Pinotti Roberta, insegnante scuole pubbliche, roberta.pinotti.senato@gmail.com; Pizzetti Luciano, Funzionario Partito, luciano.pizzetti@senato.it; Puglisi Francesca, Giornalista, francesca.puglisi@senato.it; Puppato Laura, cavaliere della Repubblica, Politica, laura.puppato@senato.it; Ranucci Raffaele, Imprenditore, raffaele.ranucci@senato.it; Ricchiuti Lucrezia, imprenditrice in azienda familiare, lucrezia.ricchiuti@senato.it: Rossi Gianluca, Medi-co, gianluca.rossi@senato.it; Russo Francesco, professore univer-sitario, francesco.russo@senato.it; Ruta Roberto, Avvoca-to, roberto.ruta@senato.it; Saggese Angelica, Segretaria comunale, Politicasegreteria.saggese@senato.it; Sangalli Gian Carlo, Dirigente industriale, esponente associazione, giancarlo.sangalli@senato.it; Santini Giorgio Sindacato, impiegato, giorgio.santini@senato.it; Scalia Francesco, Politico, Avvocato, universitario, francesco.scalia@senato.it; Silvestro Annalisa, Infermiera, annalisa.silvestro@senato.it; Sollo Pasquale, Com-mercialista, pasquale.sollo@senato.it; Sonego Lodovico, Funzionario di Partito, lodovico.sonego@senato.it; Spillabotte Maria, Assistente presso il Parlamento Europeo, maria.spilabotte@senato.it; Sposetti Ugo, Funzionario di Partito, ugo.sposetti@senato.it; Tomaselli Salvatore, Dirigente imprenditore, info@salvatoretomaselli.it; Tonini Giorgio, Giornalista giorgio.tonini@senato.it; Tronti Mario, professore universita-rio, mario.tronti@senato.it; Vaccari Stefano, Funzionario di Partito, stefano.vaccari@senato.itValentini Daniela, Politica, Imprenditrice, daniela.valentini@senato.it; Vattuone Vito, Impiegato, vito.vattuone@senato.it; Verducci Francesco professore universitario francesco.verducci@senato.it; Zanda Luigi luigi.zanda@senato.it; Zanoni Magdai, Libera professionista, magda.zanoni@senato.it; Zavoli Sergio, giornalista, sergio.zavoli@senato.it.

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Dice re Giorgio che è inutile far cadere il governo da lui fortemente voluto. Non scioglierebbe mai le Camere perché la legge elettorale è incostituzionale e non si può votare. 22563_20260_bloglive-81c45c141eae14fbf835ef6818a1bc46_ImageA dirla come si deve, senza girarci attorno con mezze parole che nessuno capisce bene, la legge che ha determinato la formazione delle Camere e l’inconsueta rielezione di Napolitano al Quirinale è una «legge-truffa». Questo, però, non è il linguaggio che usano i re.
Dice Epifani che il Partito democratico sta con Berlusconi perché non può piantare in asso baracca e burattini e, per suo conto, il senatore pericolante ripete pari pari il ragionamento di Epifani: ci vuole una legge elettorale, quella che c’è non va più bene ed è finita nel mirino della Corte Costituzionale. Né l’uno né l’altro, però, ammette apertamente che la legge Calderoli è un vero e proprio imbroglio. Gli «uomini delle Istituzioni» non parlano mai chiaro: c’è il rischio che la gente capisca.
Dice Alfano che se, come pare ormai certo, troverà il coraggio di tradire definitivamente il suo ex padre padrone, avrà un partito vero e finalmente suo, ma non potrà certamente far cadere il governo. Giocando d’anticipo, l’ex delfino del più celebre pregiudicato d’Italia, interroga direttamente gli elettori: si può mandare il popolo a votare, se la legge elettorale è un’autentica vergogna?
A sentirli parlare, con le loro mezze parole, i sottintesi e quel disaccordo totale su tutto, tranne che sulle impossibili elezioni, non si capisce praticamente nulla, ma emerge la verità puntigliosamente negata: questa vituperata legge elettorale, che tutti hanno voluto e nessuno ha mai fatto qualcosa per cambiare, ha un’importanza fondamentale per re Giorgio, per Epifani, per Berlusconi, per Alfano, per la sgangherata banda Monti, per Casini e la sua malconcia compagnia di ventura. In questo nostro sventurato Paese, per capirci, chiunque prometta cambiamenti che non intende realizzare, si affretta a chiamare in causa la legge elettorale per spiegarci che cambiare vorrebbe ma cambiare non si può. Nel guazzabuglio da Regia Marina – ciò che è vero la sera non vale la mattina – la legge Calderoli è l’alibi per una sporca faccenda, un pasticciaccio tale da fare impallidire Germi e la sua via Merulana. L’inganno più grave, però, l’oltraggio sanguinoso all’intelligenza degli elettori, non va cercato in quello che i galantuomini autonominati ripetono con esasperante monotonia. Il peggio si cela in quello che nessuno dice, ma è sempre più chiaro a tutti: poiché la legge elettorale è fatta apposta per vanificare il voto espresso dal mitico «popolo sovrano», Senato e Camera dei Deputati sono attualmente formati da alcune centinaia di persone elette illegalmente e perciò prive di una autentica legittimità democratica. Sono loro, questa nuova specie di clandestini, che hanno voluto per la seconda volta Napolitano al Colle e sempre loro, i figli di una «legge-truffa», il 23 ottobre, al Senato, hanno votato una gravissima modifica dell’articolo 138 della Costituzione.
Dice re Giorgio che lui non scioglierebbe le Camere perché la legge elettorale è incostituzionale. C’è da chiedersi dove sarebbe Napolitano, Presidente praticamente a vita, se l’Italia fosse un Paese retto da Istituzioni democratiche legalmente elette; molto probabilmente non sarebbe dov’è, in Parlamento non vedremmo accampati deputati e senatori «espropriati» dai segretari di partito e da saggi di nomina regia e nessuno avrebbe osato mettere ai voti una modifica della Costituzione che fa di uno «Statuto rigido», una inutile dichiarazione d’intenti alla mercé di ogni «golpe bianco».
Dice Formigoni che chi si è astenuto sull’articolo 138 intendeva far cadere il governo. La verità è che il Senato ha approvato un ddl costituzionale sul Comitato per le riforme costituzionali, che per soli quattro voti evita anche il ricorso al referendum confermativo. Giulietto Chiesa, giornalista prestato alla politica, è stato invece brutalmente chiaro: «questo Senato non ci rappresenta», ha detto, «ha una maggioranza di provocatori, di lanzichenecchi che operano contro l’ordine e la pace sociale. […] Un parlamento di nominati non rappresenta il paese e, tanto meno, può arrogarsi il diritto di cambiarne la carta costituzionale […]. Questo è un golpe bianco, che esegue il piano eversivo della P2. Noi faremo resistenza». Non è facile capire che intenda Chiesa, quando dice «Resistenza», ma a far chiarezza hanno pensato in questi giorni di ottobre le piazze, colme di gente e di rabbia composta, che pacificamente tornavano al monito che in anni ormai lontani, ma molto simili a quelli che viviamo, venne da Giovanni Bovio: «Non fateci dubitare della giustizia. Che ci resterebbe? Temiamo di domandarlo a noi stessi, di noi stessi temiamo e ci volgiamo a chi ci chiama fratelli: noi fummo nati al lavoro e, per carità di dio, non fate noi delinquenti e voi giudici».
Umberto I, il re di quegli anni tragici, non gli diede ascolto. Finì come tutti sanno, coi moti del ’98, la cavalleria accampata nelle piazze e le tragiche cannonate milanesi di Bava Beccaris.

Liberazione e Report on Line , 25 ottobre 2013

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Cambia il tempo nessuno potrà fermarloSecondo lei un uomo senza lavoro, che ha fame, che vive nella miseria, che è umiliato perché non può mantenere i propri figli… questo per lei è un uomo libero? No che non lo è. Sarà libero di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io. La libertà senza giustizia sociale è una conquista vana“.

Due Paesi: uno ottuso, armato, egoista e parassita, che difende una legalità malata e ignora la giustizia sociale; l’altro disarmato, che lotta per il futuro negato. Per un po’ la cieca violenza del potere potrà imporsi e sembrerà trionfare. Col tempo però – giorni, mesi, anni, nessuno può dirlo – la forza della ragione e le ragioni della giustizia sociale avranno certamente la meglio. Non è una speranza e nemmeno un sogno irrealizzabile. E’ una legge fondamentale della vita. Quella che muove la storia. E nessuno è mai riuscito a fermarla.

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clip_image001«Assassini, assassini! Basta con la Bossi-Fini!». Così Agrigento ha voluto salutare i rappresentanti del governo italiano, ministra Kyenge. Persino «Repubblica», che di certo non teme rivali quando si tratta di evocare inflitrati provocatori, terroristi e gli immancabili insurrezionisti, stavolta farà fatica a criminalizzare i nuovi contestatori. Un sacerdote che lei certamente conosce, Don Mosè Zerai, che ormai da anni è un riferimento forte per i profughi che giungono in Italia, ha parlato di «beffarda passerella». A lui s’è unito Marco Zambuto, il sindaco di Agrigento, che non è certo un black block, ma ha usato parole pesanti come pietre – «una pugnalata ai morti», ha dichiarato, mentre in tanti si domandavano che fine avessero fatto i sopravvissuti – e un altro rappresentante delle Istituzioni, Giusi Nicolini, la sindaca di Lampedusa, puntava decisamente il dito sulle nostre politiche migratorie. «Descrivono il grado di civiltà di un Paese» – ha detto in Senato – «e incidono sul destino dei territori dove queste persone sbarcano. Per questo motivo, sono doppiamente ingiuste, anche verso di noi delle isole». Insomma, ha concluso, «è il viaggio che non si deve fare».
«Assassini!». Non so che le sia passato per la mente, signora Kyenge, quando gente di colore come lei ha urlato la sua accusa. Non lo so, ma mi domando con quale coraggio riprenderà il suo posto nel Consiglio dei Ministri dopo quello che le è accaduto ad Agrigento, assieme all’ex berlusconiano ed ex montiano Mauro e a quel galantuomo di Angelo Alfano, vicepremier nel governo in cui lei è Ministra dell’integrazione. Forse non glielo hanno detto, dottoressa, ma mentre lei prendeva parte a un funerale senza morti, e la «beffarda passerella» scatenava la comprensibile rabbia dei presenti, a Lampedusa, i compagni dei morti erano ancora chiusi in vergognosi campi di concentramento. E’ tempo che s’informi: l’Angelo berlusconiano col quale s’è presentata in Sicilia è noto alle cronache politiche soprattutto per i servizi resi a un famoso pregiudicato e per l’occupazione militare della Valsusa. Basta chiedere un po’ in giro, Ministra ma, se ci pensa, ci arriva da sola: anche un leghista intellettualmente onesto, ammesso che se ne trovi qualcuno, dopo Agrigento, avrebbe presentato le irrevocabili dimissioni. Lo avrebbe fatto per coerenza e dignità.
Non serve nascondersi dietro un dito. Ormai sa bene quel che pensa di lei l’Angelo suo collega, glielo ha detto pubblicamente, mentre eravate assieme e la sicurezza lo portava via: chi propone di cambiare la Bossi-Fini è d’accordo con gli scafisti e vuole lasciare le frontiere libere per aiutarli nei loro sporchi affari. Alfano, Ministra Kyenge, non ha lasciato margini di dubbio: è vero, a lui può anche capitare di credere – o fingere di credere? – che Rubi rubacuore sia nipote di quel brav’uomo di Mubarak, ma scemo non è e non coltivi, perciò, impossibili sogni e inutili illusioni. A quelli come lei Alfano non intende darla vinta: proteggerà le nostre frontiere e salverà vite umane come ha fatto finora, checché ne dica la teppaglia eritrea. I migrati nel Mediterraneo lui li ha sempre salvati e se sono in tanti a morire, se ne faccia una ragione, è che gli africani hanno tra i caratteri genetici una pericolosa tendenza al suicidio. E’ stato proprio per questo che Alfano, ad Agrigento, ha invitato anche un rappresentante di quel regime eritreo che è un fulgido esempio di rispetto dei diritti umani: per evitare che lei continui a farsi illusioni. Lei e la sua immancabile complice, la Presidente Laura Boldrini.

Uscito su Liberazione e Report on line il 22 ottobre 2013

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«Guarda, ciò che più brucia è il silenzio. Per questo anzitutto, perché è  un negazionista, Priebke, non merita sepoltura. Faccia la fine che volle per gli ebrei: cremiamolo e disperdiamo le ceneri. Questo merita un negazionista». Di questa velenosa parola si sono riempite in questi giorni le penne dei più noti commentatori e la bocca della gente comune, dell’uomo della strada: «negazionista»! Un passaparola vorticoso e la reazione non è mancata: un morto che si fingeva di voler nascondere ha assunto una vitalità e una visibilità che a pochi tra chi vive è consentita.
downloadChe la sepoltura del nazista «negazionista» fosse anzitutto uno specchietto per le allodole, un modo per aizzare passioni e contrapporre attorno a una sepoltura cause giuste e cause perse, non ci voleva molto a capirlo. Ora è chiaro come la luce del sole nell’ora meridiana. Dopo giorni e giorni trascorsi a picchiare sul tasto del «negazionismo», lanciato in pasto alla folla per abituarla alla parola, ecco che, dietro la notizia creata ad arte, spunta, ma si tiene nell’ombra, cauta, scaltra e sussurrata, la notizia vera. Onore al merito. Dove avevano fallito Fini e l’onorevole Paola Frassineti, riescono i «rivoluzionari a cinque stelle» e i nipotini di Badoglio annidati indifferentemente tra PD e PDL. Alla Commissione Cultura della Camera la «maggiominoranza» che ci governa s’è unita per una volta agli eversori grillini e ha fatto passare senza colpo ferire un emendamento che, guarda caso, crea il reato di «negazionismo» e promette fino a cinque anni di carcere ai «negazionisti». Poiché in galera i morti non ce li puoi ficcare, non c’è dubbio: nel mirino ci sono i vivi. Sono anni ormai che, per «arginare il fatto deplorevole» che «alcune associazioni» – l’Anpi per fare nomi – «si recano nelle scuole a raccontare una visione dei tragici fatti delle foibe in maniera totalmente travisata», si cerca d’imbavagliare la ricerca. Trasformate le associazioni dei profughi istriani e la Commissione Cultura della Camera nei custodi unici di una indiscutibile verità storica o, se volete, di una bibbia cui credere per fede, ecco una legge che scomunica gli «eretici» e fa tintinnare le manette. Si partirà dall’Olocausto, foglia di fico dell’inaudita censura, ma non si fa fatica a prevederlo: legge, tribunale e manette sono pronte per tutti i criminali che non rispettano i limiti stabiliti dal potere politico. Chi si azzarderà a «negare» che il comunismo è stato solo gulag, chi continuerà a «negare» le foibe e contrasterà la verità di Stato sul «consenso» al fascismo, è avvertito: l’attende la galera.
Di questa vera e propria controriforma degli studi storici si è fatto sostenitore il laico «Corriere della Sera», cassa di risonanza della crociata, che si è già posto il problema: come faranno i giudici a leggere, giorno dopo giorno, gli articoli, i saggi e l’ampia produzione storica dei ricercatori italiani? Non ci sono problemi, ci ha pensato il giornale. Sin dai tempi di Fini e Frassinetti, infatti, nel lontano 23 marzo del 2010, il «Corriere», occupandosi delle «ferite aperte al confine orientale» – e imbeccato evidentemente dalle infallibili associazioni dei reduci istriani – ha fornito una sorta di «lista di proscrizione», un sintetico e triste esempio di «index librorum prohibitorum», candidando alla galera i criminali più incalliti, perché – la citazione è testuale – con le loro opere «tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito, (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità». C’è voluto del tempo, ma l’intervento è giunto e minaccia chiaramente la sparuta pattuglia di studiosi, costretti a questo punto a scegliere tra dignità e manette.
E’ accettabile tutto questo? E davvero siamo ancora in una repubblica democratica, se impunemente si possono processare gli studi di storici onesti, che fanno ricerca secondo le regole del mestiere, esplorando archivi e documentando ogni affermazione? E’ accettabile che sia la politica a decidere cosa vada scritto e chi debba scrivere? Queste domande, rivolte invano all’associazione degli storici contemporanei – che, interpellata tempo fa, non intese schierasi – speriamo si pongano al più presto i lettori di sinistra e quelli di una destra liberale che dovrebbero avere a cuore la libertà di ricerca, di opinione e di parola, come a cuore si ha l’aria che respiriamo. Se le pongano soprattutto, se lo ritengono utile, quanti in questi giorni hanno lottato per proteggere la memoria dalla tomba di un vecchio di cent’anni ormai defunto. Se una tomba scatenava proteste, le manette agli storici dovrebbero far sorgere barricate.
E’ naturale che chi è stato massacrato desideri che lo storico se ne ricordi, ma è legittimo che siano le vittime a dettare la ricostruzione dei fatti? Da una regola di per sé discutibile – è la comunità scientifica che deve valutare – apparentemente “mirata” alla tutela della memoria dell’Olocausto, ricaveremo una norma generale per una pluralità di eventi cui s’appelli chiunque si ritenga “negato”? E tutti, ognuno in nome di propri interessi e idee politiche, potranno così chiamare in causa gli studiosi per le loro opinabili, ma oneste ricostruzioni? A questo punto non solo i quattro citati, ma tutti troveranno grandi difficoltà a fare gli storici. E’ questo che si vuole? Quello che con preoccupata amarezza e acuto senso della democrazia, Gaetano Arfè, definiva un «popolo di senzastoria»?

Uscito su Liberazione.it il 17 ottobre 2013

Ps: per una volta questa diventa casa mia:  ci entreranno solo, se ci saranno, i commenti di chi non sta col governo.

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CaricheUn giorno qualcuno chiederà:

ma tu dov’eri quando si sfrattavano famiglie, gli operai difendevano il posto di lavoro. Gli sbirri erano coi potenti?

Che risponderemo?

La questura, scrivono da Roma in questo momento i giovani che lottano, “avrà molto da inventarsi quel che vuole – ha a disposzione il codice Rocco del fascista – per giustificare l’arresto 14 ragazzi, che ieri, assieme ad altre 70 mila persone, manifestavano determinati per Roma. L’obbiettivo era far sparire l’immensa manifestazione e che giornli come il “Corriere della sera” e “rRpubblica” potessero titolare con le solite stronzate dei black bloc, dei pericolosi antagonisti. Gli brucia che ieri sono stati assediati e non hanno potuto far nulla contro un mare di persone, se non provare a criminalizzare e caricare il corteo inventandosi degli arresti assurdi. Ma non ci riusciranno. E’ talmente evidente la pochezza di quello che dicono che a testa alta la piazza di Porta Pia e tutti i movimenti domani ancora più determinati andranno a riprendersi i ragazzi arrestati e rilanceranno più forte il movimento!
Liber* tutt*! Sara e Celeste libere! LIBERE SUBITO LE NOSTRE COMPAGNE! SI PARTE E SI TORNA INSIEME……….. E POI SI RIPARTE!!!

I nostri ragazzi lottano.
Svegliamoci, per la miseria, Stiamo con loro!

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Cambia il TempoMigliaia in piazza: “Non abbiamo avuto paura!

16,04: con noi anche i lavoratori dell’Irisbus! intanto ci dirigiamo verso via Merulana.

Lavoratori, studenti, disoccupati VINCEREMO SE ORGANIZZATI!
Lavoratori, studenti, disoccupati VINCEREMO SE ORGANIZZATI!

16,10: Dal corteo si dicono 70.000 partecipanti; mentre la testa giunge a Santa Maria Maggiore piazza San Giovanni è ancora piena.

16,13: Il corteo procede per via Merulana.

16,32: Il corteo avanza. In tantissimi ad urlare: Operai studenti disoccupati VINCEREMO SE ORGANIZZATI!

16:41: La testa del corteo sta per giungere nei pressi del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

17,12: Anche oggi il ruolo strumentale della polizia è chiaro… non è un caso se li troviamo in cordone davanti Casa Pound a tenere alta la tensione! Ma il corteo risponde urlando idee e cori antifascisti.

17,13: Gentaglia di Casa Pound tenta di provocare il corteo, ovviamente protetta dalla polizia. Ma la manifestazione prosegue. La nostra rabbia non si arresta! Il corteo passa vicino la sede di Casa Pound blindata dalle camionette della polizia. cori antifascisti e noi procediamo determinati!No tav

17:25 Dal corteo volano uova verso il Ministero dell’Economia che sta per essere circondato; uova anche verso una sede dei Monte dei Paschi di Siena.

17,32: Il corteo prosegue per le strade di Roma tra poco arriverà al Ministero dell’Economia!

17,34: Comincia l’assedio.

17:45 Carica della polizia davanti al Ministero dell’Economia!

17,56: I poliziotti caricano gli studenti che volevano raggiungere Porta Pia davanti al ministero dell’economia.
Chiusi in ogni strada dalla polizia;
ecco la vergogna di questa falsa democrazia!
Chiusi in ogni strada dalla polizia;
ecco la vergogna di questa falsa democrazia!

18,10 La coda del corteo si è ricomposta con la testa, si procede oltre il Ministero dell’Economia.

18:12 La testa del corteo è ormai giunta a Porta Pia di fronte al Ministero delle Infrastrutture.

18,25: La testa del corteo è riuscita a raggiungere Porta Pia ma la celere non lascia passare e carica! Noi resisteremo, la repressione non ci spaventa!

Arrivano le prime notizie: 11 fermi dopo le cariche.
TUTT* LIBER*!

19:15 Carica a freddo sull’acampada a Porta Pia. La polizia provoca ulteriormente i manifestanti che stanno organizzandosi per la notte.
Cariche

19,45: Questa è la risposta dello Stato a chi ancora una volta è sceso in piazza per lottare per un futuro migliore per dire basta alle solite manovre e manovrine politiche fatte da chi sta sguazzando in questa crisi e ne sta uscendo con le tasche piene.

20,02: “obbediscono agli ordini”… Ma per quanto picchino forte, la voglia di CAMBIARE QUESTO TEMPO non va via. Una vita degna per tutti è possibile!

Il futuro non è scritto!

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imagesDevo dirlo, pazienza se scandalizzo i benpensanti: che ipocrita e macabra commedia questa del morto che nessuno vuole!
Non voglio parlare dei macelli attuali e dell’olocausto mediterraneo che ha nomi, cognomi, indirizzi e firme di grandi e piccoli gaglioffi che esercitano il potere fuori dai vincoli costituzionali. Non voglio parlare nemmeno di nazisti protetti dai “liberatori” americani perché conoscevano bene l’arte d’ammazzare. Mi basta tornare alla generazione del feroce nazista Priebke, per dire che c’è in giro un’aria pestilenziale che incute davvero timore.
Da governatore di Tripolitania e Cirenaica, Badoglio deportò ferocemente più di centomila sventurati e li chiuse in atroci campi di concentramento nel cuore del deserto libico. Mille chilometri di marcia a tappe forzate e condizioni di vita disumane ne ammazzarono quarantamila. Contro gli Etiopi, nel 1936, Badoglio fece a gara con Graziani nell’uso di armi di distruzione di massa. Ci eravamo impegnati a non usarli mai, i gas, e li usammo contro i civili. Badoglio ordinò di farlo e i nostri soldati non si scandalizzarono. In quanto a barbarie, il Maresciallo d’Italia ebbe un solo rivale: Rodolfo Graziani, del quale c’erano ancora ricordi ufficiali in caserma, quando, nel 1967, mi misero addosso una divisa e in mano un fucile e mi ritrovai soldato a Pistoia nell’84° Reggimento Fanteria C.A.R. “Venezia”. L’aveva comandato lui, quel reggimento, il macellaio di Libia – così lo chiamavano – e s’era fatto poi fatto una triste fama per i libici lasciati morire di sete, fame e stenti, in campi di concentramento nel deserto. “Così si batte la Resistenza”, aveva detto, e s’era guadagnato un premio da Mussolini, che lo fece governatore della Cirenaica. Nella sua vita non si fermò mai di fronte a nessun crimine e nel 1935 provò a superare Badoglio nell’uso dei gas, in Abissinia, contro un nemico inerme, contro i civili e contro i feriti ricoverati negli ospedali. Nessun tedesco gli insegnò a massacrare; fu lui che fece scuola alle S.S. Quand’era viceré d’Etiopia, lasciò mano libera ai suoi uomini e nei miei ricordi personali c’è un reduce della guerra d’Africa con una foto agghiacciante: un prigioniero legato a un camion, trascinato nel deserto e fatto letteralmente a pezzi. “Un grande generale fu Graziani”, sosteneva il fascista.
Scampato a un attentato, il “grande generale” fece massacrare migliaia di etiopi. Più di 1.600 monaci furono trucidati in una sola volta assieme al loro vescovo, sorpresi nel monastero ortodosso di Debre Libanos. I nazisti non avrebbero saputo far di meglio: trascinati sul ciglio di una scarpata, a Zega Weden, e raggruppati in lunghe file, furono falciati a colpi di mitragliatrice e i cadaveri riempirono la gola di sangue e di corpi senza vita. Non contento, Graziani proseguì la sua bestiale vendetta trucidando indovini e cantastorie, colpevoli di raccontare quella tragedia. I morti non si contarono e tanti ne fece ancora come ministro della Difesa nella Repubblica Sociale Italiana, alleato dei tedeschi contro gli italiani.
Graziani non ha pagato. Nel 1953 è diventato presidente onorario del Movimento Sociale Italiano ed è morto nel suo letto, cittadino libero e innocente. L’Italia non l’ha processato, non ha fatto storie sulla sepoltura e non si è scandalizzata nemmeno quando i camerati gli hanno eretto un monumento. Nessuno ha trovato mai da ridire per le foto di Roatta che fanno bella mostra di sé nell’archivio dello Stato Maggiore dell’esercito. Nulla da dire, va tutto bene, benché Roatta abbia firmato la “Circolare 3 C”, che dichiarò guerra ai civili in Slovenia, anticipando le disposizioni criminali impartite dai tedeschi in tema di rappresaglie, incendi di villaggi, esecuzioni sommarie di ostaggi e internamenti nei nostri campi di concentramento che non ebbero mai molto da invidiare a quelli di Hitler. “Testa per dente senza false pietà”, ordinò ai nostri soldati e invano la Jugoslavia chiese poi di processarlo come criminale di guerra.
I nostri criminali di guerra non fanno schifo a nessuno. La Chiesa sta zitta, i cimiteri sono tutti aperti, i politici ammutoliscono, i giornali non hanno inchiostro e carta, i benpensanti sono a riposo e tutto va bene madama la marchesa. Badoglio, per chi non lo sapesse, ha avuto funerali di Stato con i rappresentanti del Governo, le Autorità e gli onori militari.
Questa di Priebke è una doppia vergogna. Non solo rischiamo di dare una risposta barbara a un barbaro che non c’è più, ma c’è chi pensa di farlo per mischiare le carte e lavarsi la coscienza. Piantiamola con questa commedia e affidiamo al gelo d’un marmo la parola fine: “qui giacciono i resti mortali d’un criminale nazista”. Non altro. Un corpo morto è parte integrante della vita. Solo i nazisti non ne hanno rispetto. I nazisti e gli ipocriti politicanti.

Uscito su Liberazione e su Contropiano il 15 ottobre 2013

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Siscrive scuola si legge futuroSi scrive scuola, si legge futuro”. Questo slogan ha spinto ieri in piazza gli studenti delle superiori, mentre Lampedusa allineava sul molo nuove vittime di leggi razziali. Ovunque l’onda della protesta ha chiamato in causa il governo; nel mirino non solo Letta, ma Napolitano, “deus ex machina” di “larghe intese”, inammissibili manomissioni della Costituzione e scorciatoie presidenzialiste.
Politica, non è più tempo di tergiversare”, hanno urlato i giovani, traditi da tagli feroci travestiti da riforme: un monito chiaro, tra flash mobbing e cortei pacifici, ma carichi di tensione. Sullo sfondo, presenti come non mai, l’occupazione militare e la criminalizzazione della Valsusa e il ricorso intimidatorio al Codice Rocco, eredità del fascismo. In piazza, ferita mai rimarginata, la memoria di Genova 2001, le manganellate mai più fermate, i lacrimogeni lanciati persino dai Ministeri e i morti per polizia. Troppi e troppe volte impuniti, per non temere colpi proibiti, nel silenzio di una stampa tornata da tempo ai fasti di Telesio Interlandi e Mario Appelius.
Non s’è spenta l’eco della protesta di ieri contro lo smantellamento del sistema formativo pubblico a favore del padronato e dei suoi interessi privati e a Roma è scesa in piazza la gente che non vuole bavagli. “Dignità e Futuro per la Scuola della Costituzione”. Sotto lo striscione oggi pomeriggio,  chiamati a raccolta dal Coordinamento scuole di Roma, ecco in piazza per la Costituzione i docenti che si tenta di asservire con l’umiliazione economica e la delegittimazione sociale, secondo la triste logica del ventennio fascista. Nessuna concessione a rituali “girotondini”. Piuttosto, una risposta al fiume di parole e promesse di un ministro che non riconosce l’impotenza cui la condannano il pareggio di bilancio inserito illegalmente nella Costituzione e l’accordo sul “fiscal compact”. Il messaggio è chiaro: difesa della Costituzione, in quanto baluardo di diritti che solo la scuola statale garantisce: pari dignità, rimozione di ostacoli alla piena realizzazione umana, culturale e, quindi, sociale, di ogni cittadino. Un baluardo della convivenza civile che, nel conflitto tra le classi, guarda ai deboli, forma coscienze critiche ed è perciò illegalmente privata di fondi, a vantaggio del privato, e si discredita chiedendo alle famiglie contributi “volontari” che marcano di nuovo confini tra chi può e chi non può.
Giornali e televisioni si guardano bene dal dirlo e, se lo fanno, è solo per creare strumentali allarmi sui rischi di un terrorismo buono per tutte le occasioni: il 18 la scuola torna in piazza e apre la via alla manifestazione del 19, convocata dai movimenti di lotta per il lavoro e per i diritti di cui gran parte del Paese ignora persino l’esistenza. L’informazione, degna ormai di regimi autoritari, è muta di fronte alle richieste dei giovani, dei disoccupati, di coloro che non hanno mai lavorato, di chi è finito sul lastrico per il malgoverno, le speculazioni della finanza e una politica che ha socializzato le perdite di banche e bancarottieri e tutelato i privilegi. Di fronte alla tragedia del Paese, la ministra dell’Istruzione non trova di meglio che studiare rapporti di Enti che hanno sede legale su Marte. “Vorrei che il rapporto PIAAC OECD venisse letto da tutte le componenti del mondo dell’istruzione e della cultura” – scrive su facebook, trovando sconvolgenti dati che sono l’esito fatale di scelte politiche dei governi che degli ultimi decenni. Benché sconvolta, la ministra Carozza torna alla solfa delle promesse e delle esortazioni: “dobbiamo fare dell’istruzione e della formazione il pilastro della nostra politica economica, con coraggio riformatore, dobbiamo chiedere maggiori risorse ma dobbiamo anche cambiare la nostra scuola”.
Per carità cristiana, ministra, ma non lo vede? La scuola muore per congestione da leggi votate al cambiamento, come di leggi per l’accoglienza muoiono i “clandestini” nel Mediterraneo. Muore, clandestina tra i clandestini, uccisa dai tradimenti della politica. Non ponga mano a nuove leggi. Pretenda piuttosto che tra il 18 e il 19 non ci sia tra i suoi colleghi chi metta all’opera infiltrati, apposti cecchini sui tetti dei Ministeri e crei incidenti. Pretenda solo che si applichi la Costituzione. Invece di leggere rapporti, Ministra, legga attentamente i contenuti del Decreto 953 (l’ex disegno di legge Aprea) che sta per diventare legge. Provi a capire che significherà per la scuola il “Consiglio dell’Autonomia” che potrebbe sostituire quello d’Istituto. Immagini i danni estremi che verranno al Paese da un organo d’indirizzo della scuola che escluda i rappresentanti dei genitori e degli studenti per far posto a realtà produttive, professionali e dei servizi; provi a valutare le conseguenze della  commistione tra i fini della scuola statale e gli obiettivi di realtà private, l’insanabile contraddizione tra formazione delineata dalla Costituzione e formazione legata a interessi privati. Il suo ruolo Ministra, ricorda da vicino quello della sua collega Fornero: un’impostazione errata della scienza economica fece giustizia sommaria dei diritti dei lavoratori, un’idea malintesa di pedagogia sta per mettere al muro i “Decreti Delegati” che hanno dato dignità e democrazia al sistema formativo.
Apra le porte del suo ufficio a chi manifesta, ministra Carrozza, ascolti il Paese prima che da qualche parte prendano ad affiorare cadaveri di scuole un tempo fiorenti e resti di università ormai morenti. Non serve altro. Basta tornare a una legalità che significhi giustizia sociale. Provi a capirlo, se ci riesce: agli occhi di chi studia, lavora, paga le tasse e i costi della corruzione di politici e padroni del vapore, il Parlamento dei nominati non ha alcuna legittimità. Sullo sfondo delle piazze che protestano c’è la Grecia affamata che chiude le università nel silenzio del circo mediatico; è un tappo che non reggerà molto all’onda d’urto della crisi. La Grecia siamo noi e ci sono radici così profonde, che ogni ulivo calcificato dalla Troika nella terra di Omero è linfa sottratta alla civiltà dell’Occidente. Di questo passo, l’unico Parlamento che conterà in Europa sarà la piazza. Da troppo tempo la barbarie governa il Palazzo. Non provi anche lei a cambiare la scuola. Di cambiamento si muore. Come fa a non capirlo? Sta navigando in rotta di collisione con la democrazia. Lavori per cambiare finalmente la rotta, ministra. E’ questo il cambiamento che occorre e non c’è più tempo.

Uscito su “Fuoriregistro” il 12 ottobre 2013 e col titolo Dignità e futuro per la scuola della Costituzione su “Liberazione” il 15 ottobre 2013

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